STRAGE DI SAN BERNARDINO: LO SCONTRO TRA APPLE E FBI PER L’IPHONE DA SBLOCCARE DIVIDE L’AMERICA

    1-san bernardinoDifesa della privacy o violazione, facilitare le indagini dell’FBI o lasciare il Federal Bureau of Investigation ad annaspare nel tentativo di concludere un caso che sembra destinato ad andare anche troppo per le lunghe. È facendo di questi interrogativi la base del proprio pensiero che i potenti della Silicon Valley, cuore pulsante della tecnologia per computer e del web, e l’America tutta, si stanno dividendo creando due veri e propri fronti contrapposti.

    Qualche giorno fa Apple, azienda produttrice, tra gli altri, dell’IPhone, decise di opporsi all’ordine del giudice federale di rendere accessibile lo smartphone di uno degli attentatori che nella strage di San Bernardino dello scorso dicembre si rese responsabile dell’uccisione di 14 persone. La richiesta del giudice arrivò in seguito al rifiuto della società di collaborare volontariamente con l’FBI. Le autorità, infatti, dopo mesi di indagini si trovano ad un punto morto. Nell’impossibilità di trovare prove schiaccianti per confermare o meno l’appartenenza di Syed Rizwan Farook e della moglie, Tashfeen Malik, a una cella terroristica, grande opportunità sarebbe data dall’accesso al telefono. Il dispositivo, però, dispone di un codice di sblocco che qualora digitato in maniera errata per 10 volte di seguito porterebbe alla cancellazione di tutti i dati. In un istante, tabula rasa. Possibili conversazioni, documenti o progetti che hanno portato alla strage, sparirebbero nel nulla.

    Apple ha difeso la propria scelta spiegando come la creazione di una backdoor, una porta di accesso secondaria, su un singolo prodotto significherebbe creare un precedente e rendere così possibile la violazione di ogni singolo telefono o computer dell’azienda fondata da Steve Jobs. Inoltre, sempre stando alle dichiarazioni dell’amministratore delegato Tim Cook, sui nuovi IPhone questa sarebbe una funzione sconosciuta agli stessi produttori. Una violazione della privacy e della fiducia che i cittadini hanno nei prodotti Apple, così l’azienda ha definito la possibilità di “sbloccare” lo smartphone incriminato.

    Ed è così che iniziano a schierarsi gli altri “grandi”. Google e Facebook dalla parte di Apple, Microsoft da quella dell’FBI. Le parole di Mark Zuckerberg sono arrivate nella serata di ieri: “Non pensiamo che richiedere una backdoor sia un modo efficace per aumentare la sicurezza o sia la cosa giusta da fare”. Insomma, i dati dei clienti devono restare segreti. Che siano criminali, assassini, attentatori o onesti cittadini, non fa differenza. Secondo il fondatore del social network il ruolo che queste grandi aziende devono avere è bloccare possibili contenuti si stampo terroristico nel momento in cui si presentano in “casa propria”: “Se un contenuto promuove il terrorismo o esprime sostegno all’Isis, lo eliminiamo. Non vogliamo che la gente faccia cose del genere su Facebook”, più di questo niente. Sulla falsariga di quelle del fondatore di Facebook anche le dichiarazioni del Ceo di WhatsApp, Jan Koum, e dell’amministratore delegato  di Google, Sundar Pichai. In direzione opposta si è mosso Bill Gates, fondatore di Microsoft, che in un’intervista rilasciata al Financial Times ha dichiarato: “Nessuno sta parlando di una porta di servizio. L’FBI non sta chiedendo qualcosa in generale, ma qualcosa che riguarda un caso particolare”.

    Come era facile aspettarsi il contenzioso tra investigatori e Apple ha assunto una portata nazionale. Tanto da coinvolgere anche i candidati alle prossime presidenziali USA. Il repubblicano Donald Trump ha lanciato l’appello per un boicottaggio del colosso di Cupertino almeno finché non sbloccherà l’IPhone. L’approccio del socialista Bernie Sanders è invece più moderato: “Sono molto preoccupato, in America, per il “grande fratello”, ma dovrebbe esserci una via di mezzo tra la lotta al terrorismo e la protezione dei diritti costituzionali’’. Allo stesso modo l’esponente del Partito Democratico Hillary Clinton: ’’Capisco entrambe le parti, credo che gran parte dei cittadini veda entrambe le parti. Ecco perché c’è bisogno di una persona in carica che possa provare a portare la gente insieme verso un compromesso’’.

    Dalla loro i 23 feriti sopravvissuti all’attacco non ci stanno a rimanere semplici spettatori in una vicenda in cui sono, loro malgrado, i personaggi principali. A seguito dell’immobilismo di Apple hanno deciso di intraprendere un’azione legale nei suoi confronti affinché si decida a collaborare con le autorità. “Sono stati presi di mira dei terroristi, vogliono sapere perché”, ha detto Stephen Larson, avvocato di alcune delle vittime.

    Nonostante quella di Apple possa sembrare una chiusura definitiva, in realtà la società ha deciso di prendere tempo fino al 26 febbraio prossimo prima di una scelta definitiva. La decisione che potrebbe segnare un punto di svolta fondamentale per le indagini. Una decisione che, qualunque essa sia, sarà storica per lo sfondo nel quale si inserisce. Quello della privacy e di quanto questa possa essere violata per quei fini da alcuni ritenuti superiori. Perché forse sì, ha ragione chi ritiene la sicurezza, soprattutto in questi tempi, la cosa che maggiormente andrebbe protetta. O perché forse ad aver ragione è chi teme per un futuro che si delineerebbe sempre di più come il “Grande Fratello” di Orwell.

    Luca Crosti