Addio monete da uno due centesimi e lo Stato ci guadagna

    Sarebbero necessari circa 400 tir da 44 tonnellate ciascuno, un grande spiazzo e un incentivo minimo, ma in fin dei conti si può fare: se gli italiani raccogliessero tutte quante gli spiccioli da 1 e 2 centesime accumulate nei propri salvadanai e banche e attività commerciali seguissero l’esempio, con la più grande colletta nella storia del calciomercato, si potrebbe quasi acquisire il prezzo di Cristiano Ronaldo. Novantotto milioni di euro in monete di 1-2 centesimi, all’incirca. Solo una delle tante possibilità, visto che una qualche utilità per i 7 miliardi di centesimi dal taglio piccolo ancora sono in giro, andrà prima o poi ricercata. Dal primo gennaio del 2018 la Zecca non produce più i due tagli minimi delle monete, i negozi sono obbligati ad arrotondare per difetto ed eccesso, e quindi a non dare più il resto in monetine, che pian piano iniziano ad alleggerire i nostri portafogli, pur tenendo così il corso legale, cioè ogni negozio è sempre costretto ad accettarle. Quel che è sicuro è che nessuno verserà lacrime per questo. Alle soglie dell’approvazione della legge, nel 2017, si aveva paura per possibili difficoltà per gli esercenti per via degli arrotondamenti o questioni di approvvigionamento. A un anno dal blocco al conio però il risultato è ottimo. Le prime ad avere beneficiato dallo stop alla produzione sono le casse pubbliche. I dati, pur non essendo così eccelsi, sono testimoniati dalla relazione tecnica del dl 50/2017 che ha messo in vigore la norma. Creare una moneta da 1 cent costa poco più del suo valore: 0,00906 euro. Invece produrle una da due è un po’ più costoso: 0,01136 (poco più di un centesimo). Quindi basandosi sul fatto che per l’ultimo periodo di messa in circolazione sono stati autorizzati 260 milioni di pezzi da 1 centesimo e 150 milioni di pezzi da 2 centesimi e che l’abbandono alle monetine di rame ha generato una maggior richieste di monete più “grandi”, lo Stato ha risparmiato circa di 1,87 milioni di euro.