Da oggi il taser alla polizia è realtà

    La sperimentazione del taser fornito alla polizia è iniziata da mezzanotte in dodici città italiane. Da Milano a Palermo, quindi, gli ufficiali che hanno completato alcuni mesi di allenamento hanno nella loro fondina l’arma ad impulso elettrico che blocca per alcuni secondi i movimenti delle persone colpite. Dopo un processo iniziato nel 2014, il decreto per l’ok alla sperimentazione, affidato a carabinieri e guardiani della finanza, è stato firmato lo scorso luglio: le città coinvolte in questa prima fase sono Milano, Napoli, Torino, Bologna, Firenze, Palermo, Catania, Padova, Caserta, Reggio Emilia, Genova e Brindisi.

    Il taser “aiuterà migliaia di agenti a fare meglio il loro lavoro: per troppo tempo le nostre forze dell’ordine sono state abbandonate, è nostro dovere garantire loro gli strumenti migliori per difendere adeguatamente gli italiani, polizia e carabinieri”, quindi su Twitter del Ministro dell’Interno Matteo Salvini.

    Negli ultimi giorni ci sono state delle polemiche, sollevate, tra l’altro, da Amnesty International Italia che ha espresso “preoccupazione” chiedendo “a chi monitorerà l’uso dei taser”. Mentre diversi sindacati di polizia come la FSP sono favorevoli alla sperimentazione “di fronte alla crescente sequela di violenza sulla pelle dei poliziotti italiani”. E l’assessore alla sicurezza della Lombardia, Riccardo De Corato, guarda già avanti e chiede di essere equipaggiato con le brigate di tutti i comuni lombardi. Nel mondo, il taser è già fornito alle forze di polizia di oltre 100 paesi tra cui Canada, Brasile, Australia, Nuova Zelanda, Kenya e Europa, Francia, Germania, Repubblica Ceca, Grecia e Regno Unito.

    Secondo le linee guida del ministero, la distanza consigliata per un tiro efficace va dai 3 ai 7 metri. Il taser “deve essere mostrato senza essere sfidato”, per scopi dissuasivi. E puoi sparare solo se il tentativo fallisce, ma considerando “il contesto dell’intervento e i rischi associati alla caduta della persona” e le sue possibili “condizioni visibili di vulnerabilità” (nel caso di una donna incinta, per esempio), e al potenziale rischio di incendio, scossa elettrica ed esplosione.