Davide Bifolco, vittima dello Stato o della strumentalizzazione? – di Marco Harmina

    davide-bifolcoÈ successo nella notte tra il 4 ed il 5 settembre quando Davide bifolco, sedicenne originario di rione Traiano di Napoli, è stato ferito mortalmente da un colpo di pistola esploso da un carabiniere. Quella notte Davide si trovava, insieme ad altri due suoi amici, uno dei quali in stato di latitanza, in sella sullo stesso motorino. Il caso ha voluto che incontrassero un posto di blocco formato proprio da una gazzella dell’Arma.

    All’invito di fermarsi per un controllo, i ragazzi hanno tirato dritto dando vita a un inseguimento.  Per comprendere al meglio la sequenza dei fatti è necessario descrivere quantomeno lo scenario in cui si sono svolti. Rione Traiano di Napoli, periferia precaria della terza città d’Italia, sita tra Soccavo e Fuorigrotta. L’omicidio si è svolto nei pressi di via Cinthia, vicino ad una sala scommesse.

    I tre centauri, per sfuggire e seminare gli inseguitori, decidono di passare attraverso l’aiuola che separa le due corsie della strada, saltando così nella carreggiata opposta. Anche lì però sta arrivando un’altra volante, che li tampona. Motorino a terra, uno dei tre continua la sua fuga a piedi, gli altri due vengono fermati. Questi ultimi sono un 18enne con condanne per piccoli furti ed un 16enne incensurato che risponde al nome di Davide Bifolco, rimasto steso sull’asfalto . Il 24enne in fuga, Arturo Equabile, verrà poi arrestato il 18 settembre a Casoria, esattamente tredici giorni dopo la morte del suo amico. L’immobilità del ragazzo è causata da uno sparo partito da una pistola dei carabinieri che inseguivano i fuggiaschi con l’arma carica ed il colpo in canna. I gendarmi hanno avvalorato la tesi del “colpo partito casualmente, per sbaglio”, ma alcuni avanzano dubbi su questa teoria perché, secondo alcune ricostruzioni, sembra che l’arma del delitto fosse puntata ad altezza uomo. 

    Dopo l’accaduto, grazie alle immagini rilevate dalle telecamere di videosorveglianza della sala scommesse, è stato possibile ricreare gli attimi successivi allo sparo, quando alcune persone uscite dal servizio commerciale, al rumore del proiettile sparato in direzione del petto della vittima, sono tornati dentro in preda al panico. Le telecamere svelano un carabiniere che irrompe nel centro d’azzardo puntando di nuovo la pistola ad altezza uomo minacciando i clienti.     

    È caos a Napoli. Nei giorni successivi ci sono stati cortei, manifestazioni, casi di violenza sfociata contro i militari, scritte davanti alle caserme. Tutta la città grida vendetta per ciò che è accaduto: un ragazzo giovanissimo, per non essersi fermato ad un posto di blocco, “è stato giustiziato”, queste le parole di Giovanni Bifolco, padre della vittima. “Le persone che ci devono tutelare hanno giustiziato mio figlio”. A quest’affermazione ha risposto il segretario generale del Sindacato italiano unitario lavoratori polizia, Felice Romano: “Davide non aveva questa visione di noi, per lui noi eravamo un pericolo”, “c’è una strumentalizzazione – così continua l’esponente della Siulp – di chi vuole che quel quartiere rimanga lo stesso quartiere dove un giovane ha perso la vita in quel modo”.

    Tante sono state le opinioni anche sul gesto compiuto dal comandante provinciale dei carabinieri Marco Milicucci che, durante un corteo in onore della memoria di Davide, è stato intimato di togliersi il cappello con la fiamma in segno di rispetto della vittima. Preso atto della volontà della folla innanzi a lui, il militare ha assecondato il desiderio di tutti i cittadini levandosi il copricapo. L’onorevole Santanché ha ammesso che con tale gesto si sia data una vera coltellata all’autorità che lo Stato rappresenta, in quanto i militari svolgono il ruolo di servi dello Stato stesso.

    Il pericolo di strumentalizzazione c’è, sia da parte di chi va contro le autorità militari sia per chi le difende, per ciò si deve far attenzione a tutte le notizie che trapelano dal caso come quella uscita nei giorni scorsi per cui uno dei fratelli di Davide in passato sia stato agli arresti domiciliari. Sopra tutte le dichiarazioni però, una rimbomba come un tuono, ovvero quella di Marisa Grasso, vedova di Filippo Raciti, poliziotto ucciso nel 2002 a seguito degli scontri tra le tifoserie di Catania e Palermo calcio: “In nome della giustizia si chiede vendetta, non c’è cosa più sbagliata. I carabinieri e tutte le forze dell’ordine, tutti i servi dello Stato, non devono avere il compito enorme di dover cambiare le cose, non spetta a loro”.

    Per avere modo di sentire vari punti di vista, abbiamo fatto qualche domanda ad un esponente della Curva Nord del tifo romano, che da molto tempo è parte di quel contesto. Non sveliamo l’identità dell’intervistato  per rispettare la sua volontà di rimanere in anonimato.

    Che ne pensi di questa vicenda? Non è mai bello sentire certe cose anche se purtroppo in Italia negli ultimi anni ci sono stati altri episodi di questo genere , penso a Gabriele Sandri a Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, il massacro alla scuola Diaz durante il G8, Carlo Giuliani e tanti altri. Quando sbagliano quelli con la divisa pagano le famiglie delle vittime.

    Si è perso il senso di giustizia? Purtroppo il senso di giustizia si è perso tanti anni fa. Pagano solo i più deboli.

    È giusto collegare la morte di Davide ad altre come quella di Ciro Esposito? No non credo sia giusto collegare i due episodi.

    Che ne pensi del senso di vendetta sfociato poi nel ferimento di un carabiniere? Non so che dire, non credo sia stato un gesto di vendetta

    Commenta la frase del padre di Davide: “le persone che ci devono tutelare hanno giustiziato mio figlio” . Purtroppo è vero. Quelli che ci dovrebbero proteggere tante volte se ne approfittano. Io non accuso tutti perché non sarebbe giusto, personalmente cerco di proteggermi da solo perché se aspetti che ti aiutino loro o che facciano qualcosa sei un ingenuo.

    Il segretario generale della Siulp ha detto che “il problema non è quello che è successo quel giorno, ma quello che è successo dopo”. Che ne pensi? Quello che è successo dopo non sarebbe mai accaduto se un frustrato con la divisa e pistola avesse fatto bene il suo lavoro. Si sentono intoccabili e pensano di essere degli sceriffi nel far west. Mi ritrovo molto nelle parole della canzone scritta da Ferro Giant e Thiago Dea, “Acab non è un film”.

    La sorella di Bifolco ha postato su Facebook le foto del cadavere. Si deve interpretare come un grido alla giustizia oppure etichettarlo solo come mancanza di buon gusto? Credo l’abbia fatto per far capire la gravità della situazione. Io lo vedo come un disperato tentativo alla ricerca della giustizia. Lo stesso gesto è stato fatto dalla sorella di Stefano Cucchi.