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Elezioni Usa 2020, una guida al voto a sette giorni dalle elezioni

Il presidente Usa Donald Trump

Martedì 3 novembre 2020, fra una settimana, i cittadini degli Stati Uniti d’America saranno chiamati alle urne per scegliere chi sarà l’inquilino alla Casa Bianca per i prossimi quattro anni. I candidati in corsa sono l’attuale presidente Donald Trump e Joseph Biden, ex vicepresidente di Barack Obama. Running mate alla vicepresidenza Mike Pence per il Partito repubblicano, Kamala Harris per i democratici.

Negli Stati Uniti la data delle elezioni è una certezza. Dal 1845 infatti si vota il primo martedì dopo il primo lunedì di novembre, una scelta che ha origini nel passato agricolo del Paese. Novembre era il mese della fine dei raccolti autunnali e dell’inizio dell’inverno, martedì il giorno di mezzo tra la domenica, giornata di riposo e tradizionalmente religiosa, e il mercoledì, dedito ai mercati.

Sessanta milioni di americani hanno già votato

Oggi i cittadini possono richiedere di votare anticipatamente, con metodi e requisiti che variano a seconda dello Stato. È una pratica cresciuta molto nel corso del tempo: da quando è stata istituita nelle elezioni 1992, si è passati dal 7% al 36.6% di elettori che nel 2016 hanno votato prima dell’election day. A sette giorni dalle elezioni 2020, sessanta milioni di americani hanno già votato, un numero superiore al totale dei voti espressi anticipatamente nel 2016. Per dare un’idea, quattro anni fa votarono (in tutto) circa 136 milioni di elettori, il 55% degli aventi diritto. La maggioranza dei voti anticipati proviene da California, Texas, Florida (i tre Stati più popolosi), che mettono a disposizione rispettivamente 55, 38 e 29 grandi elettori. Al di là delle preferenze politiche, tale affluenza – scrive il New York Times – rappresenta “un faro per la democrazia in tempi difficili”.

Come funziona il sistema americano

Con le presidenziali si eleggono presidente e vicepresidente attraverso un sistema elettorale indiretto. I cittadini votano 538 grandi elettori, che a loro volta eleggono il presidente a scrutinio segreto e senza vincolo di mandato (principio previsto in 26 Stati), anche se è molto difficile che i grandi elettori non votino per il candidato per cui sono stati nominati. Per diventare presidente il candidato dovrà ottenere almeno la maggioranza assoluta, ovvero 270 voti.

Ogni Stato sceglie con la propria legge elettorale il numero dei grandi elettori in base alla sua grandezza, da un massimo di 55 della California a un minimo di 3 degli Stati più piccoli. 48 Stati adottano il sistema maggioritario del winner takes all: il candidato vincitore di uno Stato prende tutti i grandi elettori a disposizione. Fanno eccezione il Maine e il Nebraska, dove si vota con un sistema più proporzionale.

Gran parte dei sondaggi dà Biden favorito; ma, come insegna Yogi Berra, campione di baseball italo-americano, “non è finita finché non è finita”. Tra i due sarà un testa a testa.

Di certo giocheranno un ruolo chiave i cosiddetti swing states, gli stati indecisi, quali il Michigan (16), Pennsylvania (20), Wisconsin (10), Florida (29), Arizona (11),  Ohio (18). Sono gli Stati che non rappresentano un porto sicuro né per uno né per l’altro partito, in cui vengono investite molte delle risorse della campagna elettorale. Per il momento i sondaggi sorridono a Biden, ma la corsa è ancora lunga (chiedere a Hillary Clinton) e la storia ha insegnato a non sottovalutare il tycoon.

Sono attesi alle urne tra il 50 e il 60% degli aventi diritto, ma gli ultimi dati sui votl anticipato fa sperare a una maggiore partecipazione. Solitamente l’affluenza è piuttosto bassa data l’importanza dell’evento rispetto a quella a cui siamo abituati in Europa. È un dato collegato a diversi fattori della società americana, che scende anche fino al 40% nelle midterm elections, le elezioni di metà mandato, dove, tra le altre cose, vengono rinnovate la Camera dei rappresentanti e una parte del Senato. I 435 membri della Camera restano in carica due anni, i senatori sei. Nel 2018 si registrò ‘un’onda democratica‘ del voto popolare, anche se il Senato rimase nelle mani di Trump, mentre la Camera passò ai democratici.

Le presidenziali di novembre ci diranno dunque se la spinta democratica è ancora forte oppure se Trump può aspettare il 2024 per fare le valigie. Rispetto al 2016 i dem possono contare su un partito unito intorno alla figura di Biden.

Mario Bonito