Giorno della Memoria: il ricordo di Irena Sendler

    Si chiamava Irena Sendler l’infermiera assistente sociale polacca che salvò 2500 bambini. Spentasi a 98 anni, fu candidata a Nobel per la pace. Nel giorno della Memoria, alcune tra le personalità più grandiose che l’umanità abbia mai conosciuto, in grado di poter lottare anche a costo della propria salute e della propria vita per la salvezza degli innocenti che vennero condotti verso l’atroce morte certa rappresentata dall’olocausto ebraico, vengono ricordati in molteplici modi, luoghi e eventi. Tra queste, la figure meravigliosa si Irena Sendler e cioè la giovane polacca che salvò 2500 bambini rischiando la propria vita.

    Irena Sendler nacque a Varsavia il 15 febbraio 1910 e nella stessa città, i 12 maggio 2008 all’età di 98 anni, terminò il suo lungo viaggio in questa vita nella quale, in qualche modo, il suo grande gesto non è stato ricordato abbastanza. Irena Sendler tuttavia resta e continuerà ad essere un vivido esempio di resistenza al germe dell’odio e dell’annichilimento umano. Irena Sendler salvò 2500 bambini e collaborò con la Resistenza nella Polonia oggetto di occupazione durante la Seconda guerra mondiale. La sua fama viene dal fatto, appunto, che grazie anche alla collaborazione di altri venti membri della Resistenza polacca, salvò 2.500 bambini ebrei riuscendo a farli uscire di nascosto dal ghetto di Varsavia, attraverso falsi documenti e dando loro rifugio in case al di fuori del ghetto.

    Irena Sendler veniva da una famiglia cattolica in una famiglia d’estrazione operia della Varsavia dell’epoca. Il padre Stanislaw, medico, morì di tifo nel ’17 contraendo la malattia mentre assisteva ammalati che, secondo le ricostruzioni storiche, altri dottori si rifiutarono di curare. L’indubbio dolore ma, al contempo, il grande esempio di suo padre le procurò giocarono inevitabilmente un ruolo decisivo nella vita di Irena Sendler: peraltro, molti dei malati che suo padre accudì erano ebrei, e ciò significò molto per la comunità ebraica di Varsavia, che in effetti si offrì di pagare gli studi di Irena in riconoscenza. Da questo evento, drammatico ma anche encomiabile, si cementò la vicinanza tra Irena Sendler e gli ebrei. Già in epoca universitaria Irena si oppose alla ghettizzazione degli studenti ebrei e venne sospesa dall’Università di Varsavia per tre anni.
    Durante Seconda Guerra Mondiale aumentò i propri sforzi per sottrarre gli ebrei dalla persecuzione nel corso della occupazione della Polonia: insieme ad altri collaboratori, riuscì a procurarsi circa 3.000 falsi passaporti per aiutare famiglie ebraiche.
    Nel 1942 poi entro del tutto nella resistenza polacca, che la incaricò proprio di portare avanti operazioni di salvataggio dei bambini ebrei del ghetto. In qualità di dipendente dei servizi sociali Irena Sendler godeva di un permesso speciale per entrare nel ghetto per indagare sui sintomi di tifo che tanto allarmavano in quei giorni i tedeschi: approfittando di ciò, Irena Sendler, il cui nome in codice era “Jolanta”, lavorò proprio alla fuga dei bambini dal ghetto. I bambini più piccoli vennero portati dentro ambulanze o altri veicoli: in altre occasioni, Irena si vestì da tecnico di condutture idrauliche e fognature e, introducendo nel ghetto furgone, condusse fuori altri bambini nascosti nella cassa degli attrezzi o nei sacchi di juta. Durante questi ’viaggi’ col furgone si faceva aiutare dn cane addestrato ad abbaiare alla vista dei soldati nazisti di modo che potesse coprireil pianto dei bambini. E poi, che successe ai bimbi, fuori dal ghetto?
    Irena Sendler li dotò dei falsi documenti con nomi cristiani affidandoli a famiglie cristiane, conventi o direttamente a preti cattolici che li nascondevano nelle case canoniche. Come lei stessa ricordava
    «Ho mandato la maggior parte dei bambini in strutture religiose. Sapevo di poter contare sulle religiose.» Tuttavia, il grande impegno di Irena Sendler e lo straordinario lavoro fatto per circa 2500 bambini salvati dalla morte, sembrava essere per lei non sufficiente. «Avrei potuto fare di più. Questo rimpianto non mi lascia mai.», diceva. Irena Sendler peraltro segnò i veri nomi dei bambini accanto a quelli falsi e seppellì gli elenchi dentro bottiglie e vasetti di marmellata sotto un albero del suo giardino, sperando un giorno di restituire i bambini ai loro genitori.
    Nell’ottobre 1943 la Sendler venne arrestata dalla Gestapo e pesantemente torturata: le vennero fratturate le gambe e rimase inferma a vita; ma non parlò. Condannata a morte, venne salvata dalla rete della resistenza polacca Zegota, che corruppe i soldati tedeschi che avrebbero dovuto condurla a morte. Il suo nome venne registrato insieme con quello dei giustiziati, e per i mesi rimanenti della guerra visse nell’anonimato, senza smettere di provare però a salvare altri bambini ebrei.

    A fine guerra i nomi dei bambini vennero consegnati ad un comitato ebraico, che riuscì a rintracciare circa 2.000 bambini: molte delle loro famiglie, però, erano state sterminate nei lager.
    Dopo la guerra subì minacce anche dal regime comunista: dal ’488 al ’68 fece parte del Partito Comunista polacco che abbandonò in seguito alle campagne antiebraiche condotte dallo stesso nel marzo del 1968, appunto.
    Nel 1965 venne riconosciuta dallo Yad Vashem di Gerusalemme come una dei Giusti tra le nazioni.
    La sua storia è tornata in auge nel 1999 quando alcuni studenti di una scuola superiore americana condussero un progetto per farne conoscere l’operato. Nel 2003, papa Giovanni Paolo II le inviò una lettera personale lodandola per i suoi sforzi durante la guerra. Nello stesso anno ottenne la più alta decorazione civile della Polonia, l’Ordine dell’Aquila Bianca, e il premio Jan Karski “Per il coraggio e il cuore”, assegnatole dal Centro Americano di Cultura Polacca a Washington.
    E ancora, nel 2007 l’allora Presidente della Repubblica di Polonia Lech Kaczynski propose al Senato del suo Paese di proclamarla eroe nazionale. Il Senato votò a favore all’unanimità. Invitata all’atto di omaggio del Senato il 14 maggio dello stesso anno, all’età ormai di 97 anni non fu in grado di lasciare la casa di riposo in cui risiedeva, ma mandò una sua dichiarazione per mezzo di Elzbieta Ficowska, una delle bambine da lei salvate. «Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra, e non un titolo di gloria»
    Per molti, rappresenta tuttavia una crepa, in questa magnifica storia di dolore, salvezza e umanità, la mancata assegnazione del Nobel per la pace. Il nome di Irena Sendler infatti venne indicato dal governo polacco per il premio Nobel per la pace, con l’appoggio ufficiale dello Stato di Israele espresso dal suo primo ministro Ehud Olmert. Il premio venne assegnato a Al Gore.