La controcultura degli anni’60, in mostra fino a dicembre a New York

    Sui muri e sulle pareti, il ricalco di un sofà, porte bianche, parrucone ben visibile, occhialoni neri, improvvisamente, il viso di una sirena che essclama: “Era tutto chiaro, allora. Chiaro come il sole”. Sono passati più di 50 anni dall’uscita di The Velvet Underground & Nico. Andy Warhol e la sua musa Nico sono diventate icone rivoluzionarie. In un scantinato di Broadway, superata una fascia di festoni e capelli d’angelo, si incontra la scritta ’New York Spirit’. È qui che il mito rinasce – lo spirito – della rock band creatasi dall’incontro Lou Reed-John Cale nei sottosuoli della Grande Mela nei favolosi anni Sessanta. Poesia, rock, avant-garde: entrano a far parte del collettivo Sterling Morrison, studente di letteratura e amante rock’n’roll, Moe Tucker, batterista dal sound tribale, e Christa Päffgen, in arte Nico, “l’iceberg biondo” che Andy Warhol tramuterà nella front man dei Velvet Underground. La mostra Velvet Underground Experience (un aggiornamento della mostra andata in scena a Parigi nel 2016, aperta fino a dicembre) vuole elogiare la band e il milieu della Factory di Warhol; le canzoni del gruppo, scritte per lo più da Lou Reed, sono state interpretate da cantanti celebri quali David Bowie, Patti Smith, Joy Division, R.E.M. e Nirvana. Al 718 di Broadway, poco distante dal Café Bizarre e The Dom (i luoghi prediletti dei Velvet Underground) la mostra scava per la prima volta la relazione tra musica e show sperimentali, come la serie Exploding Plastic Inevitable di Warhol, durante l’epoca della controcultura nel Greenwich Village. Il designer Matali Crasset fa da cicerone tra sporchi costumi di scena, dolcevita neri, la leggendaria cover/opera d’arte di Warhol con la fotografia della banana, scatti fotografici, artefatti, super8 e un mix di luci ’trippy’ e stroboscopiche sospese al tetto del Bandsintown Studio. La mostra prosegue con un tour nel mondo del bassista e co-fondatore John Cale, che terrà dei meeting con i visitatori durante la mostra. New York è l’altro grande soggetto dell’esposizione, con una serie di polaroid e giganteschi album da sfogliare, istantanee della city scattate dal esperto dei Village Voice Fred McDarrah, che racchiudono segmenti di vita di strada e l’esibizione di un acerbo Bob Dylan presso un club folk. I Velvet rappresentano tutt’oggi gli emblemi più moderni e misteriosi del mondo del rock americano, secondo Variety. Il loro feeling con il cinema e l’America del consumismo già era testimoniato nei loro testi e nella pittura, ma trova il suo ideale connubbio in America/America, docu-film diretto dal regista Jonathan Caouette. Un corto di Cinque minuti, che racconta degli sconti tra esponenti della cultura Americana e controrivoluzionari nel’45, due Americhe simili che si confrontano con il linguaggio del lip synching, appartenente al padre della Beat Generation, Allen Ginsberg: “Mesi prima che la mostra prendesse vita ho ritrovato una mail di Christian Fevret (fondatore del magazine Les Inrockuptibles, ndr) e Carole Mirabello che mi chiedevano se fossi interessato a montare un video con immagini d’archivio”, ha spiegato Caouette. “L’idea era quella di usare le parole di Allen Ginsburg e costruirci una poesia visiva sull’America, una rappresentazione dell’America mainstream da una parte e quella subalterna e anarcoide in una diversa porzione dello schermo. Avrei dovuto pescare da un pozzo di immagini che va dal 1955 al 1965. Sono un ossessivo compulsivo, un ridicolo perfezionista: alla fine ho riversato in digitale ore e ore di videocassette dalla mia collezione personale insieme ad altri film e documentari. Non ho mai lavorato a qualcosa di così metodico in vita mai, eccetto un video musicale di John Grant. Il mio lavoro, per un totale di diciotto schermi separati e sincronizzati tra loro, è una specie di YouTube ripping e favoloso, vagamente queer, che prende il ritmo dalle parole pronunciate da Ginsberg. C’è, nei suoi testi profetici, una malinconia senza tempo. L’incarnazione delle molteplici morti del paese”. Inoltre Caouette ha spiegato anche che: “Un’amica artista” gli “ha detto che in queste immagini ha trovato il punto di vista di un’America morente mischiato a un forte senso di speranza, e alla febbre del sogno. In ogni cosa che faccio e che esploro, devo trovare speranza. Se è vero che la storia si ripete, comunque, l’America di oggi è fottuta. Ci rifletterò nel mio prossimo lungometraggio che parte dallo stesso condotto spazio-temporale di Donnie Darko”.