LE RIPRESE GIORNALISTICHE AUDIOVISIVE IN VOLTO IN LUOGO PUBBLICO E APERTO AL PUBBLICO, PUBBLICI UFFICI COMPRESI.

     

    Nella penultima puntata della trasmissione televisiva “La Gabbia” condotta da Gianluigi Paragone abbiamo visto la coraggiosa inviata Monica Raucci alle prese con i venditori abusivi che operano nelle vicinanze del Colosseo e altri siti storico-archeologici di Roma e che spesso frodano e danneggiano i turisti, provocando un danno ingente alla Capitale, non solo sotto il profilo dell’immagine. Abbiamo anche visto come uno degli operatori della Polizia locale di Roma, considerato,tra le altre cose, che la Raucci invitava questi ultimi ad intervenire per contrastare il fenomeno, che si svolgeva in pieno giorno e davanti agli occhi di tutti,abbia persino diffidato l’inviata dal pubblicare le videoriprese con il suo volto, prospettando chiaramente che gli avrebbe “fatto causa” se si fosse visto ripreso in trasmissione o da qualche parte. A fronte di questo episodio o probabilmente per cautelarsi da eventuali pericoli di azioni giudiziarie,ecc. abbiamo anche visto che le riprese sono state trasmesse dall’emittente,nella puntata e in quella successiva, con le facce oscurate, sia dei Vigili che degli operatori abusivi, e che qualcuno di questi ultimi ha anche aggredito letteralmente la giornalista invitandola a farsi gli affari suoi e perché evidentemente non voleva essere ripreso al pari dell’operatore di polizia locale. La giornalista si è presa,in qualche misura, una sorta di “rivincita” nella puntata successiva,trasmessa mercoledì scorso, in cui, pur oscurando sempre le facce degli abusivi, ha posto dei quesiti in merito al Comandante della polizia locale di Roma Capitale che rispondeva, dapprima invocando la normativa locale sulla regolamentazione del commercio a Roma forse a suo dire da rivedere, e poi assicurando gli approfondimenti del caso. Premesso che i filmati andrebbero acquisiti in forma non criptata dalla magistratura probabilmente per accertare se si siano verificati reati commissivi da parte degli abusivi ed omissivi da parte degli operatori di polizia locale, tenuti non solo a reprimere reati in corso o già verificati,ma anche ad impedirne la continuazione o la commissione ai sensi dell’art.55 C.P.P. e che gli approfondimenti del caso, cui accennava il Comandante del Corpo, probabilmente dovrebbero consistere anche nell’apertura di un’inchiesta amministrativa interna su quanto verificatosi, cioè il mancato intervento nella repressione di truffe e commercio abusivo segnalati dalla stampa nella persona della giornalista e con tanto di audiovideoriprese aventi valore di prova documentale ai sensi dell’art.234 C.P.P., anche oggetto di pubblica diffusione televisiva conforme ai diritti costituzionali di cronaca e informazione (art.21 Cost.), non ha mancato di stupirci anche l’altra questione documentata nella medesima puntata televisiva della Gabbia secondo cui una Dirigente dell’Amministrazione o gestione finanziaria avrebbe addirittura impartito direttive al personale, a mezzo di una circolare,quindi impiegando risorse e strumenti normativi pubblici e potestativi o comunque di una società concessionaria addetta alla riscossione,per fronteggiare il fenomeno del diritto di cronaca ed in particolare l’accesso ai pubblici uffici dell’amministrazione finanziaria da parte di giornalisti di trasmissioni potenzialmente prevenute nei confronti della predetta branca amministrativa o definibili come “trasmissioni e cronisti d’assalto” nel lessico corrente. Sono rimasto a dir poco allibito in entrambi i casi e la trasmissione televisiva deve far riflettere sulle condizioni di illegalità e sulla cultura dell’omertà imperante in questo paese, oltre al fatto che la stampa e la cronaca radiotelevisiva non vengono più percepite come attività di pubblico servizio (e non è tale solo la Rai quale emittente pubblica in tal senso,sul dibattito in merito alla luce anche delle normative europee,art.19 Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, si legga: http://notiziario.ossigeno.info/2014/12/informazione-se-non-solo-rai-fa-servizio-pubblico-commento-51000/ ) cui almeno  le istituzioni dovrebbero dare libero accesso e con cui collaborare nella funzione informativa del popolo sovrano conforme allo spirito della legge fondamentale sulla pubblica amministrazione e sulla trasparenza (L.241/90), ma come un qualcosa di cui diffidare e da cui guardarsi con sospetto o quantomeno con un rapporto non collaborativo, come attesterebbe la circolare il cui contenuto sarebbe stato oggetto di diffusione nella trasmissione televisiva del 28/10/2015 e che probabilmente andrebbe anch’essa valutata attentamente dalla magistratura competente,poiché bisognerebbe domandarsi, anzitutto, cosa abbia da nascondere un’amministrazione che ha problemi a mostrare il suo volto in pubblico o perché oggi chi rappresenta,con la sua persona la P.A. (secondo la nota teoria del Gierke dei poteri rappresentativi della P.A. da parte del funzionario pubblico,tra i vari saggi di riferimento: https://www.unifr.ch/ddp1/derechopenal/obrasportales/op_20081106_03.pdf ) preferisce operare al “buio” o al riparo da certa stampa più che alla luce del sole e in piena trasparenza o peggio “a porte aperte” per inviati e giornalisti quando si parla di audiovideoriprese, interviste e accesso ai palazzi del potere e pubblici uffici. La questione diventa tanto più imbarazzante e di attualità, se si pensa che in paesi europei, come la Germania, si può persino telefonare direttamente in Cancelleria o negli altri uffici pubblici e parlare direttamente coi responsabili delle pratiche in corso o delle questioni di interesse per l’opinione pubblica,con aperto confronto,senza problemi di sorta, e che persino ministri e politici di rilievo, oltre ai burocrati, li potete ritrovare a viaggiare sui mezzi pubblici o in luoghi pubblici senza troppe scorte e schermature rispetto ai comuni cittadini. Ritornando all’Italia, però, ritengo sia corretto partire da alcuni dati normativi per inquadrare correttamente i giusti termini della questione. Diremo anzitutto che è d’obbligo un distinguo tra notizie e immagini relative a persone minorenni e maggiorenni,anche se ripresi in luogo pubblico o aperto al pubblico. La Convenzione internazionale di New York sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176,sancisce che in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente (art. 3) e la normativa sulla privacy (artt. 1 e 2 Dlgs, 196/2003) più ancora della legge sul diritto d’autore (L.633/1941,artt.96-97 in particolare) dettano ulteriori norme a tutela rinforzata per tali categorie nella corrente interpretazione giurisprudenziale (vedasi la nota vicenda oggetto della sentenza di Cassazione n°21172 del 29/9/2006 in cui si tratta di potenziale sfruttamento commerciale dell’immagine di un soggetto,cosa che si potrebbe verificare anche per i servizi radiotelevisivi dal momento che sia le emittenti private che pubbliche hanno come contropartita dello share e dei dati auditel gli introiti pubblicitari pur sempre generati dalla capacità di attirare l’audience con i programmi, compresi quelli di informazione) e anche i codici di deontologia giornalistici dedicano particolare attenzione a questo problema, sicchè si preferisce, a tutela dell’identità e della normale crescita dei minori, non solo evitare di divulgarne le immagini nei servizi radiotelevisivi,ma addirittura trascriverne solo le iniziali,al massimo, dei nomi ed evitarne la identificabilità anche negli articoli di stampa persino quando gli stessi siano protagonisti di fatti di interesse pubblico. Quando parliamo, però, di pubblica amministrazione raramente o non sempre abbiamo a che fare con questioni inerenti categorie “protette” in modo particolare dal diritto di cronaca e dalla normativa sulla privacy (minori, dati sanitari e derivatamente malati, ospedali, case di cura,persone vittima di reati sessuali,ecc.), diritto di cronaca che,comunque, può e deve essere assicurato anche in quei casi,con i dovuti accorgimenti e modalità, e che a volte rappresenta la maggiore o prima forma di tutela proprio dei diretti interessati (penso a che cosa continuerebbe ad accadere senza la possibilità di documentare le condizioni in cui versavano i malati di mente o gli anziani in certe case di cura,ecc.).Inoltre,in modo particolare, quando taluno sceglie di frequentare un luogo pubblico o aperto al pubblico (cioè con accesso ad un numero indeterminato di persone), implicitamente, accetta il rischio di esporsi anche ad essere fotografato o ripreso e tanto più quando si tratti di personaggio pubblico o di fatti di pubblico interesse in cui sia coinvolto in tali luoghi non caratterizzati dallo ius excludendi alios (questo vale anche per i pubblici uffici che,in genere, sono devoluti ad accogliere il pubblico,giornalisti compresi, e soggetti alla normativa sulla trasparenza,tranne che vi siano particolari motivi che giustifichino la segretazione: vedasi processi a porte chiuse,segreto militare, segreto di Stato,ecc.). In sintesi in certi luoghi e cerimonie o attività,pubblici uffici e processi penali compresi nella fase dibattimentale, dalla Rivoluzione Francese in poi, la pubblicità e l’accesso libero della stampa dovrebbero rappresentare la regola e la riservatezza o limitazione di tali attività e diritti (diritto all’informazione) dovrebbero invece rappresentare l’eccezione. Diversamente,come è noto, riprendere le attività altrui in luoghi privati,comprese le pertinenze come il giardino di casa, la piscina interna, ecc. può configurare il reato ex art.615 bis C.P. La questione delle riprese in volto è particolarmente rilevante per la tutela del diritto all’immagine ex art.10 C.C. cui viene assimilato il concetto di “ritratto” di cui parlano gli artt.96-97 della legge sul diritto d’autore (L.633/41, nel 1941 evidentemente le audiovideoriprese non dovevano essere un problema così diffuso) ed è chiaro che il diritto all’immagine rientra nella sfera dei cosiddetti diritti personalissimi, i diritti della personalità per l’appunto che, nel loro complesso, realizzano la tutela del più ampio diritto all’identità personale. Come spiega Valeria Falcone: “La regola generale stabilita dalla legge sul diritto d’autore è che il ritratto di una persona non può essere esposto senza il suo consenso (art. 96 legge n. 633/1941). Tale regola subisce un’eccezione nel momento in cui la pubblicazione dell’immagine è giustificata dalla notorietà della persona ritratta o quando è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblicoo svoltisi in pubblico”(lato sensu dunque anche in luogo aperto al pubblico potenzialmente)“Il ritratto non può, comunque, essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritratta (art. 97 legge n. 633/1941).”,in http://www.diritto.it/docs/25940-l-immagine-del-minore-e-la-sua-tutela?page=1. Si tratta di valutazioni piuttosto opinabili,specie sotto i profili civilistici, perché le cause che vengono ingenerate da eventuali abusi sono prevalentemente di tipo civile e si ricorre anche in questo caso, come per la tutela del nome,all’azione inibitoria per prevenire o evitare la divulgazione-diffusione,oltre che risarcitoria. Si tratta di una casistica per cui la parte interessata potrebbe anche invocare, prima della messa in onda-divulgazione, la richiesta di una misura cautelare preventiva con ricorsi d’urgenza ex art.700 C.P.C., istanze di inibitoria,sequestro,ecc. Tuttavia val bene sottolineare che vi sono due limiti a questi divieti e tutele e vale a dire,compreso il diritto alla riservatezza, che potrebbe avere anche contorni più vasti dello stretto diritto di immagine,in primis, il consenso dello stesso avente diritto e,in secondo luogo, proprio la sussistenza di un interesse socialmente apprezzabile o pubblico lato sensu, quale è anche il diritto all’informazione e alla cronaca. In sintesi viene in considerazione l’aspetto finalistico dell’audiovideoripresa, più ancora che l’oggetto di essa che,ovviamente, deve ricadere su fatti di pubblico interesse e in luoghi pubblici (ad esempio una piazza, una strada) o aperti al pubblico (un cinema, un ufficio pubblico ad accesso pubblico,ecc.) e, a tal riguardo, risultano di particolare interesse due sentenze della Cassazione civile ( la n°8838 del 2007 e la n°1503 del 1993) che testualmente così definiscono i limiti del diritto di cronaca: “In tema di autorizzazione dell’interessato alla pubblicazione della propria immagine, la divulgazione senza il relativo consenso è lecita soltanto se ed in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione e non anche ove sia rivolta a fini pubblicitari.”, a ciò si aggiunga che la Cassazione penale ha ritenuto, da parte sua, legittima l’attività di audiovideoripresa anche in luoghi privati e non aperti al pubblico da parte della vittima di certi reati che, sebbene non autorizzata a monte dall’A.G. alle intercettazioni o pur non rientrando nella nozione di polizia giudiziaria autorizzata, cercasse in quel modo di tutelarsi e di documentare alcuni reati,storicamente e originariamente quelli di una certa gravità, come l’usura, che stava subendo. In alcuni casi tali documenti sono stati anche ritenuti utilizzabili a livello probatorio e ritornerei con questo al concetto iniziale per cui la giornalista, pur non essendo direttamente vittima del reato, lo stava documentando, ragion per cui il pubblico interesse all’informazione e documentazione sembrerebbe esserci tutto nel caso in esame. Sul punto sussiste un vero e proprio filone giurisprudenziale,una delle pronunce che ha fatto scuola è quella delle Sezioni Unite penali n°36747/2003: http://www.samnotizie.it/old/pagcollhome/registrare.htm ,che,tra i vari passaggi addirittura ha esplicitato i seguenti concetti: “Il presidio costituzionale del diritto alla segretezza delle comunicazioni non si estende anche ad un autonomo diritto alla riservatezza. Quest’ultima è tutelata costituzionalmente soltanto in via mediata, quale componente della libertà personale, vista nel suo aspetto di libertà morale, della libertà di domicilio, nel suo aspetto di diritto dell’individuo ad avere una propria sfera privata spazialmente delimitata, e della libertà e segretezza della corrispondenza e di ogni forma di comunicazione. In sostanza, la riservatezza è costituzionalmente garantita nei limiti in cui la stessa va ad incidere su alcuni diritti di libertà. Immaginare che il Costituente abbia voluto imporre il silenzio indiscriminato su ogni comunicazione interpersonale è cosa contraria alla logica oltre che alla natura stessa degli uomini e tale realtà non poteva sfuggire al Costituente. La riservatezza può essere una virtù, ma non è sicuramente un obbligo assoluto, imposto addirittura da una norma costituzionale, immediatamente precettiva.” “Ciò posto, deve escludersi che possa essere ricondotta nel concetto d’intercettazione la registrazione di un colloquio, svoltosi a viva voce o per mezzo di uno strumento di trasmissione, ad opera di una delle persone che vi partecipi attivamente o che sia comunque ammessa ad assistervi. Difettano, in questa ipotesi, la compromissione del diritto alla segretezza della comunicazione, il cui contenuto viene legittimamente appreso soltanto da chi palesemente vi partecipa o vi assiste, e la “terzietà” del captante. La comunicazione, una volta che si è liberamente e legittimamente esaurita, senza alcuna intrusione da parte di soggetti ad essa estranei, entra a fare parte del patrimonio di conoscenza degli interlocutori e di chi vi ha non occultamente assistito, con l’effetto che ognuno di essi ne può disporre, a meno che, per la particolare qualità rivestita o per lo specifico oggetto della conversazione, non vi siano specifici divieti alla divulgazione (es.: segreto d’ufficio)”, o segreto istruttorio aggiungiamo noi ricordando che la segretazione o acquisizione degli atti (comprese audio videoriprese) potrebbe essere disposta dal P.M. per scopi afferenti l’esito dell’indagine in corso. Ciascuno di tali soggetti è pienamente libero di adottare cautele ed accorgimenti, e tale può essere considerata la registrazione, per acquisire, nella forma più opportuna, documentazione e quindi prova di ciò che, nel corso di una conversazione, direttamente pone in essere o che è posto in essere nei suoi confronti; in altre parole, con la registrazione, il soggetto interessato non fa altro che memorizzare fonicamente le notizie lecitamente apprese dall’altro o dagli altri interlocutori. L’acquisizione al processo della registrazione del colloquio può legittimamente avvenire attraverso il meccanismo di cui all’art. 234/1° c.p.p., che qualifica “documento” tutto ciò che rappresenta «fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo»; il nastro contenente la registrazione non è altro che la documentazione fonografica del colloquio, la quale può integrare quella prova che diversamente potrebbe non essere raggiunta e può rappresentare (si pensi alla vittima di un’estorsione) una forma di autotutela e garanzia per la propria difesa, con l’effetto che una simile pratica finisce coi ricevere una legittimazione costituzionale”. Quando parla di tutela mediata della riservatezza la Cassazione penale sembra riferirsi all’esclusione della tutela penalpubblicistica relativamente a certe fattispecie (in pratica si è scriminati se vi è un reato in corso e particolarmente se si è vittima di tale reato o vi è legittima difesa che si estende anche alla difesa del terzo,cioè del diritto altrui ai sensi dell’art.52 C.P. e in questo caso la stampa finisce per difendere i turisti vittime,diversamente tutti i criminali invocherebbero la legge sulla privacy per “schermare” le loro attività….), lasciando aperti i margini di tutela e dibattito civilistico, materia in cui, però, sia detto per inciso, quando non è accordata la tutela inibitoria, in particolare quella preventiva per dirla in termini pratici, difficile da accordare stante le restrizioni costituzionali dell’art. 21 in materia di sequestro preventivo e censura in materia di stampa,permane la sola disquisizione su aspetti risarcitori la cui valutabilità trova precisi limiti nella pubblicità dei luoghi ove avvengono le audiovideoriprese e nell’interesse pubblico all’informazione prevalente,in genere, per fatti di pubblico interesse, sul diritto alla riservatezza dell’immagine.        Qualcuno potrebbe giustamente muovere l’obiezione che i concetti di reato e di pubblico interesse sono anch’essi opinabili,in particolare pensando al fatto che ciò che è interessante per alcuni o per un certo pubblico,non lo è per altri e che si potrebbe disquisire a lungo tra la sussistenza del reato e la mera ipotizzabilità o putatività dello stesso,ma poi,nella pratica, anche queste obiezioni possono essere superate,se si considera che il giornalista,come l’investigatore, segue una pista di indagine nel giornalismo d’inchiesta e che il reato o la sua ipotizzabilità in concreto, sulla base di qualche elemento obiettivo,comprese le fonti giornalistiche e le agenzie, rappresenta sempre un fatto di pubblico interesse. Inoltre finisce per potersi considerare di interesse pubblico obiettivamente tutto ciò che concerne la dimensione politica,amministrativa, del diritto pubblico,e financo ciò che concerne la sfera privata se, per le qualità dei soggetti coinvolti o la natura della notizia, possa avere risvolti o riflessi pubblicistici (ad esempio l’amicizia di famiglia dell’ex ministro della giustizia Cancellieri con i Ligresti,pur essendo un fatto privato, ha assunto chiaro ed in equivoco interesse pubblico nelle vicende relative alla carcerazione di Giulia Ligresti e alla posizione soggettiva del ministro anche in ordine alle sue prerogative istituzionali, del pari la vicenda della telefonata di Silvio Berlusconi in Questura per la questione della “nipote di Mubarak”). La confusione è ingenerata semmai dal fatto che alcuni soggetti, specie operatori di polizia, a quanto pare nel servizio, finiscono per confondere le normative generali in materia di diritto di cronaca e audiovideoriprese o accesso ai pubblici uffici con la normativa specialistica giuslavoristica,cioè la legge 300/1970 meglio nota come Statuto dei lavoratori, che fa divieto al datore di lavoro all’art.4 dell’utilizzo di impianti audiovisivi come forma di controllo dei suoi dipendenti,ecc. Tuttavia, già da tempo, la sentenza n°30177/2013 della Corte di Cassazione penale ha sancito chiaramente il superamento di tale divieto,cioè anche di tale ultimo tabù,ultimo refugium peccatorum, sempre ai fini penalistici, cioè per documentare la sussistenza di reati e ne ha ammesso pienamente l’utilizzo anche a livello probatorio financo sui luoghi di lavoro (in particolare il caso in esame aveva ad oggetto gli uffici postali e i dipendenti di Poste italiane s.p.a., ergo uffici pubblici incaricati di pubblico servizio, anche se dipendenti ormai formalmente da una s.p.a.: http://www.altalex.com/documents/news/2014/09/05/videoriprese-sul-luogo-di-lavoro-prova-atipica-utilizzabile-nel-processo ). Appare ovvio che le cautele di audiovideoripresa debbano comunque essere diverse a seconda che si tratti di luogo pubblico o semplicemente aperto al pubblico (la proporzione della soglia di tutela della riservatezza cresce proporzionalmente alla misura in cui ci si allontana dalle strade e dalle piazze, per usare un’espressione suggestiva),ma,finalmente, pare che il dettato costituzionale dell’art.21 e il diritto alla cronaca,alla libertà di stampa e all’informazione,siano destinati sempre più a diventare prevalenti su pretesi diritti all’immagine e alla riservatezza-privacy,specie in presenza dell’esigenza di documentare illeciti, penali anzitutto, ma rientrando nel concetto di interesse pubblico all’informazione potenzialmente e lato sensu anche ogni altra forma di illecito pubblicistico,amministrativo o contabile,compreso il danno all’immagine per la P.A. di competenza della Corte dei Conti e da ultimo anche fatti di interesse politico,chiaramente. Infine,concludendo questo nostro piccolo “vademecum” per l’attività giornalistica di audio videoripresa e di tutela dei sacrosanti diritti della stampa, ricorderemo che, in ogni caso in cui l’A.G. o la P.G. proceda ad acquisire le registrazioni è d’obbligo il rilascio di apposito verbale di sequestro, impugnabile,ad esempio, nel penale, in genere, entro 10 giorni, soprattutto al tribunale del riesame (il che è anche l’unico sistema per accedere alle carte del P.M. prima della conclusione della fase di indagine e per sapere se siete accusati in prima persona di qualcosa o meno, cioè per tutelarvi professionalmente) e che, del pari, nel civile, l’Ufficiale Giudiziario dovrà notificare in copia il provvedimento, anch’esso contestabile e ricorribile, in forza del quale la registrazione viene acquisita o fatta oggetto di inibitoria alla divulgazione. Per essere esaurienti,nella misura in cui può esserlo un articolo di sintesi, finiamo col riportare il testo della nota sentenza civile della Cassazione n°21172 del 29/9/2006 che, pur riguardando la questione del coinvolgimento di un minore, appare particolarmente utile a comprendere che sono anche le qualità soggettive delle persone oggetto delle riprese e le modalità di audio videoripresa e divulgazione ad acquisire un peso specifico, specie nell’ambito civilistico, ai fini della valutazione dei margini di tutela. La sentenza testualmente recita: “L’esposizione o la pubblicazione dell’ immagine altrui, a norma dell’art. 10 c.c. e degli art. 96 e 97 l. 22 aprile 1941 n. 633 sul diritto d’autore, è abusiva non soltanto quando avvenga senza il consenso della persona o senza il concorso delle altre circostanze espressamente previste dalla legge come idonee a escludere la tutela del diritto alla riservatezza – quali la notorietà del soggetto ripreso,l’ufficio pubblico dallo stesso ricoperto, la necessità di perseguire finalità di giustizia o di polizia, oppure scopi scientifici, didattici o culturali, o il collegamento della riproduzione a fatti, avvenimenti, cerimonie d’interesse pubblico o svoltisi in pubblico – ma anche quando, pur ricorrendo quel consenso o quelle circostanze, l’esposizione o la pubblicazione sia tale da arrecare pregiudizio all’onore, alla reputazione o al decoro della persona medesima.(Fattispecie in tema di pubblicazione, su una rivista, di una fotografia del figlio minorenne della ricorrente, ripreso su di una spiaggia in compagnia del padre e di una nota attrice televisiva, che indossava un “topless”; la Corte, enunciando il principio di cui in massima, ha confermato la sentenza di merito, la quale aveva rigettato la domanda di risarcimento del danno avanzata dalla madre, sia avendo accertato che il servizio fotografico non risultava attuato con modalità tali da ledere la dignità del minore o della madre stessa e che nelle immagini non era ravvisabile alcun intento lascivo, giacché tra l’attrice televisiva, il cui costume non presentava particolarità suscettibili di riprovazione o di giudizio d’immoralità, e il marito dell’attrice, ritratti nelle istantanee pubblicate, era in corso una lotta scherzosa, compiuta alla luce del sole e in mezzo alla gente, e quindi priva di ogni connotazione diversa da quella meramente ludica; sia avendo ravvisato nella esposizione del figlio, da parte del padre esercente la potestà, in luogo pubblico in compagnia dell’attrice, come tale notoriamente soggetta all’interesse dei fotografi, un implicito consenso alla ripresa fotografica). Spero di essere riuscito a sintetizzare,per quanto possibile,una questione di diritto, che è anche una questione professionale nevralgica per l’attività giornalistica,caratterizzata notoriamente da una certa vastità e varietà soprattutto dei risvolti civilistici,mentre il penale,come sempre, dovrebbe tendere,per quanto possibile, a far chiarezza e certezza e quindi a semplificare in un paese in cui imperano bizantinismo e complicazioni.