Nessuno può vedere il cadavere di Fadil

    Nessuno può vedere il cadavere di Imane Fadil per ordine della procura all’obitorio di Milano. Nessuno può vedere il cadavere Imane Fadil e dopo i test negativi sulla presenza di arsenico e per la leptospirosi adesso i pm hanno alzato la posta della sicurezza: nessuno, neanche i parenti, possa avvicinarsi. “Non farla vedere a nessuno“: questa la scritta a mano che compare sul fascicolo dell’obitorio di Milano dove si trova il corpo di Imane Fadil come noto una delle testi chiave del processo Ruby e morta il primo marzo e nel pomeriggio di quello stesso giorno trasferita dalla clinica Humanitas all’obitorio.

    Nessuno può vedere il cadavere di Fadil e la morte della teste chiave del processo Ruby si avvolge di mistero

    Nessuno può vedere il cadavere di Fadil e la morte della teste chiave del processo Ruby si avvolge di mistero. La frase apposta da uno degli addetti del Comune indica l’ordine perentorio della Procura di non fare avvicinare nessuno, dunque, e nemmeno amici e parenti, al cadavere della modella di 34 anni di origini marocchine da oltre due settimane messo in pratica sotto chiave in attesa dell’autopsia. Intanto, dopo la morte Fadil i vicini di casa la descrivono ‘provata dai processi ma piena di vita, una combattente che cercava la verità”. Nel mentre è arrivano il fascicolo con i primi risultati sui test per i veleni: Imane Fadil sarebbe dunque negativa ai test sui veleni più comuni, ad esempio l’arsenico e anche al test per la leptospirosi. Almeno così risulterebbe dalle cartelle cliniche ora in mano alla Procura di Milano che però continua ad indagare per omicidio volontario. Le analisi per appurare al presenza di veleni sono state svolte dal Centro Antiveleni di Niguarda e per la leptospirosi dalla stessa Humanitas. Secondo quanto emerge, gli esami per la leptospirosi sono stati effettuati all’Humanitas, l’ospedale presso il quale la modella di 34 anni di origini marocchine si trovava in condizioni gravi. Quando, non molti giorni dopo il ricovero, raccontò ai medici di vivere in una cascina in campagna dove c’era anche qualche topo, si ipotizzò a una qualche malattia infettiva: tuttavia in seguito agli accertamenti, venne cancellata come ipotesi. Poi, dopo circa una decina di giorni prima della morte Fadil rivelò che temeva di essere stata avvelenata, il personale decise subito di sottoporla ad alcuni test per capire se avesse assunto stupefacenti mal tagliati o altri farmaci a rischio. Dopodiché ci si rivolse al Centro di Niguarda per le ricerche dei veleni più comuni, specie l’arsenico. Esiti negativi. Da lì, l’invio dei campioni di materiale biologico al Centro Maugeri di Pavia che ha riscontrato la presenza di 4 metalli, tra cui il cobalto, ma in dosi di poco al di sopra della norma: non misurato però l’indice di radioattività: una eventuale contaminazione radioattiva è compatibile con i dati clinici e la grave patologia che aveva aggredito il midollo osseo della giovane.