Scuola, l’origine sociale incide sul livello d’istruzione

    Nelle nostre aule dove vige la disparità solo il 12 per cento degli studenti più svantaggiati sulla scala socio-economica può rientrare tra i cosiddetti studenti “più bravi”. La stima è di uno ogni otto. La conferma dello stop dell’ascensore sociale viene fuori dal nuovo rapporto sulle disuguaglianze a scuola scritto dall’Ocse, “Equity in education”, che già dal nome fa capire, e questo vale in tutto il mondo industrializzato, come gli svantaggi scolastici inizino a manifestarsi già al compimento del decimo anno di età. In Italia è l’età della quinta elementare. Si parlava di quel 12 per cento, povero, che ancora regge. E si trova, perlopiù, in istituti di media superiore. Si domandano i ricercatori dello studio internazionale: dove si ha la forza, che cosa ispira la resilienza di questa piccola porzione che ha capito immediatamente come la scuola sia la primaria e la più alta opportunità di capovolgimento delle singole vite? Il direttore di Ocse education, Andreas Schleicher, individua tre ragioni alla base di questo successo di nicchia: la costante presenza del ragazzo in classe, l’origine sociale “media” degli altri studenti della scuola (se un povero fosse inserito in un contesto di ricchi percepirebbe maggiormente questa distanza) e un migliore “clima di disciplina”. Le strutture più organizzate e serie non sono adatte ai più abbienti. Perciò, in Italia, racconta l’analista Francesco Avvisati che ha ridotto il focus nel perimetro del nostro Paese, le conoscenze acquisite sono collegate fortemente all’origine sociale. Sulla scala Pisa, più di 150 punti separano la valutazione media del 25 per cento più bravo dal risultato ottenuto dal 25 per cento più svantaggiato. I dati considerati sono quelli relativi all’anno scolastico 2014-2015, la grande ricerca che ora viene visualizzata nei suoi punti. Un mezzo degli alunni meno abbienti frequenta il 25 per cento delle scuole più svantaggiate della nazione, ancora. Solo il 6 per cento viene iscritto negli istituti di alto profilo. L’Ocse lo definisce “livello di segregazione” e sostieneche l’Italia è nella media degli altri 34 Paesi esaminati. Tra l’altro, l’organizzazione di Parigi aveva già posto in evidenza come l’ingresso nell’ambiente scolastico di “alunni svantaggiati” risulti una risorsa per tutti, figli di famiglia bene compresi. La percentuale di studenti svantaggiati che sostiene di “sentirsi nel suo ambiente” a scuola è diminuita, tra il 2003 e il 2015, dall’85 per cento al 64 per cento, un calo molto rilevante – quasi venti punti – di quello fatto pervenire nel resto della popolazione. Va aggiunto che in Italia, secondo le analisi raccolte sei anni fa, solo il nove per cento dei 25-64enni i cui genitori non hanno conseguito un livello d’istruzione secondario superiore ha terminato gli studi a livello terziario (la media Ocse è del 21 per cento). La percentuale aumenta al 59 per cento (cinque volte tanto) tra coloro che hanno in casa almeno un genitore con un’istruzione secondaria superiore e addirittura all’87 per cento tra coloro che hanno un genitore laureato. L’81 per cento degli adulti con padre e madre che non sono riusciti ad arrivare alla maturità ha terminato gli studi percorrendo la stessa strada: ciò vuol dire che solo il 19 per cento, uno su cinque, è riuscito ad ottenere un livello di formazione e competenze più elevate rispetto ai propri cari. L’origine sociale risulta incidente anche nella scelta dei docenti cui affidare la preparazione dei figli. Il rapporto pubblicato a giugno 2018 sottolineava le forti iniquità nelle possibilità di accesso a insegnanti esperti e qualificati. Le scuole superiori con una maggiore concentrazione di studenti svantaggiati tendono ad avere una percentuale minore di insegnanti abilitati (83 per cento contro il 97). Le scuole difficili e periferiche, nel 2015, avevano più insegnanti precari: 26 per cento tra i docenti di scienze, per esempio, contro il 12 per cento degli istituti blasonati. In generale, nelle scuole di periferie vi sono insegnanti più giovani (meno esperienza) che lasciano più in fretta l’istituto assegnato.