‘OMICIDIO PER AVANCES SESSUALI, BOSSETTI INFIERÌ A LUNGO’, I GIUDICI DELLA CORTE D’ASSISE DI BERGAMO SPIEGANO IN UN FASCICOLO DI 158 PAGINE LA COLPEVOLEZZA DELL’OPERAIO

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    Non hanno dubbi i giudici della Corte d’assise di Bergamo, che attraverso 158 pagine che ne legittimano la condanna: quello per cui Massimo Bossetti è stato condannato all’ergastolo, è stato un omicidio di inaudita gravità. L’operaio è stato condannato in primo grado all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio (il cui cadavere venne abbandonata in un campo di Chignolo d’Isola), assassinata il 26 novembre 2010. La ragazzina, spiegarono dopo le perizie medico legali, fu massacrata con più colpi sferrati con un’arma sconosciuta.”L’anteatta regolarità di vita e l’incensuratezza, uniche circostanze di segno positivo che potrebbero estrattamente valorizzare ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, non appaiono infatti comparabili con la predetta aggravante, che connota l’omicidio di inaudita gravità”. Spiegano i giudici che aggiungono: “è ragionevole ritenere che l’omicidio sia maturato in un contesto di avances a sfondo sessuale, verosimilmente respinte dalla ragazza, in grado di scatenare nell’imputato una reazione di violenza e sadismo di cui non aveva mai dato prova fino ad allora. Le sevizie e la crudeltà (di Bossetti contro contro Yara,ndr) disvelano il suo animo malvagio”. Dunque, dalle motivazioni si evince da parte dell’imputato c’è stata “una condotta particolarmente riprovevole per la gratuità e superficialità dei patimenti cagionati alla vittima e dimostrano l’ansia dell’agente di appagare la propria volontà di arrecare dolore”. Perché, secondo i giudici, Bossetti “non ha agito in modo incontrollato, sferrando una pluralità di fendenti, ma ha operato sul corpo della vittima, per un apprezzabile lasso temporale, girandolo, alzando i vestiti e tracciando, mentre la ragazza era ancora in vita, dei tagli lineari e in parte simmetrici, in alcuni casi superficiali, in altri casi in distretti non vitali e, dunque, idonea a causare sanguinamento e dolore ma non l’immediato decesso. Dopodiché – indicano ancora i giudici – ha lasciato la vittima ad agonizzare in un campo isolato e dove non è stata trovata che mesi dopo. E’ la presenza del profilo genetico dell’imputato a provare la sua colpevolezza: tale dato, privo di qualsiasi ambiguità e insuscettibile di lettura alternativa, non è smentito né posto in dubbio da acquisizioni probatorie di segno opposto e anzi, è indirettamente confermato da elementi ulteriori, di valore meramente indiziante, compatibile con tale dato e tra loro”. Del resto, si legge: “Il rinvenimento del profilo genetico di Bossetti e la sua collocazione provano che egli è l’autore dell’omicidio. Dai tabulati telefonici si ricava che la sera del fatto (il 26 novembre 2010) non era altrove; dalle intercettazioni di conversazioni tra presenti che egli quella sera rientrò a casa più tardi del solito e che neppure nell’immediato, non solo a quattro anni di distanza, disse alla moglie cosa avesse fatto e dove fosse stato”. Oltretutto, analizzando le particelle rinvenute sul corpo della giovane ginnasta, è direttamente chiamata in causa “la sua attività professionale, che spiega l’inusuale concentrazione sul cadavere di particelle di calce e di sferette di metallo frutto di lavorazioni a caldo o localmente a caldo, di cui solo indumenti e mezzi di lavoratori del settore siderurgico e del settore edilizio possono essere contaminati”. Tuttavia, scrivono ancora i giudici di Bergamo “è vero che la dinamica del fatto resta in gran parte oscura, ma ciò non scalfisce il dato probante rappresentato dal rinvenimento del Dna su slip e pantaloni”. E la collocazione del profilo genetico di Bossetti sugli indumenti della 13enne “prova non solo che l’imputato e la vittima sono entrati in contatto, ma che lui è l’autore dell’omicidio e, a fronte di tale dato, le residue incertezze su dove si sono incontrati, su come la vittima sia stata indotta a salire sul suo mezzo o su quale sia stata la successione dei colpi, non rilevano”.

    M.