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Chi è Michael Collins, l’astronauta dell’Apollo 11 che non camminò sulla Luna: carriera, aneddoti, vita privata

Nei giorni dell’anniversario dello sbarco dell’uomo sulla Luna, si ricorda anche la figura di Michael Collins il terzo degli astronauti a bordo dell’Apollo 11 che realizzò l’impresa dell’allunaggio sul suolo lunare e, tuttavia, anche il solo tra i tre che nell’occasione, sulla Luna, non camminò.

Chi era Michael Collins, e perché non scese sul suolo lunare?

Qual era il ruolo del terzo che insieme a Neil Armstrong, il primo della storia a passeggiare sulla Luna e Buzz Aldrin, il secondo a camminare nel ‘mare della tranquillità’ lunare, fece parte della impresa storica dell’Apollo 11?

Chi è Michael Collins, l’astronauta dell’Apollo 11 che arrivò sulla Luna ma non ci camminò: vita, carriera, storia, curiosità

Militare di carriera, addestrato per un incarico ben diverso dai due compagni, Collins aveva il compito forse ingrato di riportare la nave madre a casa qualora qualcosa nella missione fosse andato storto.

Per questo motivo rimase a bordo tutto il tempo, sperimentando una solitudine “che l’uomo non viveva dai tempi di Adamo”. Dunque Collins sulla Luna ci andò: ma a differenza di Buzz Aldrin e Neil Armstrong, non ci scese, non ci camminò, e poté solo guardarla dall’interno.

“Sono stato molto orgoglioso di essere a bordo dell’Apollo 11, e di avere uno di quei tre seggiolini. Avevo il migliore dei 3? No. Ma ero felice di avere quello che mi era stato assegnato”

In questo modo Michael Collins narra la sue esperienza sull’Apollo 11. Non scese sulla Luna per ovvie ragioni tecniche, pratiche e procedurali, non per capriccio.

Michael Collins era un militare, lo è tutt’ora all’età di 89 anni e come allora anche oggi è un anti romantico: dice solo le cose giuste, al momento giusto, senza mai lasciarsi andare.

Anche se viene definito l’uomo “più solo di sempre” alla guida della nave madre.

Michael Collins doveva pilotare il modulo di comando Columbia, la “nave madre” da cui il lander lunare con a bordo Aldrin e Armostrong iniziò la discesa verso la superficie della luna.

L’addestramento di Collins era stato duro e molto diverso da quello degli altri due: lui doveva pilotare il veicolo spaziale da solo, in condizioni estreme, e manovrare manualmente l’attracco del modulo lunare in caso di emergenza.

Armstrong e Aldrin hanno passato circa 21 ore sulla superficie della luna. Durante tutte queste ore Collins orbitò intorno alla luna da solo nel modulo di comando e in attesa che i due finissero.

Questo implica che passò più volte sul lato oscuro della luna e fu durante questa fase che provò un tipo di solitudine diverso, unico.

Collins era solo nel modulo di comando e non poteva comunicare né con il Controllo Missione della Nasa sulla Terra, né con gli altri due astronauti che erano in superficie

In un comunicato stampa la Nasa raccontò così la sua condizione: “E’ dai tempi di Adamo che un essere umano non sperimenta la solitudine che Michael Colins sta sperimentando durante i 47 minuti che impiega a effettuare ciascuna orbita intorno alla luna. Quando si trova dietro alla luna non ha nessuno con cui parlare se non il suo registratore a bordo della Columbia”.

Collins non ha mai amato la fama, come Armostrong dice, al contrario di Aldrin. Ultimamente, durante un’intervista alla BBC in cui gli hanno ricordato la sua unica condizione di solitudine durante la missione Apollo 11 le sue orbite lunari, sollevando le spalle, ha risposto: “So what?” – “E quindi?”

Chi è Michael Collins, l’astronauta dell’Apollo 11 che non camminò sulla luna: la formazione, la freddezza, la carriera

Michael Collins come gli altri due astronauti dell’Apollo 11 era nato nel 1930 ma a differenza loro non negli Stati Uniti, ma in Italia, a Roma, presso a Villa Borghese.

Il padre era Generale Maggiore dell’Esercito presso l’ambasciata americana. Tornò negli Stati Uniti si arruolò all’Accademia Militare di West Point e nella sua carriera mise in ‘cantiere’ oltre 5000 ore di volo, divenendo uno dei piloti di caccia più esperti dell’aviazione americana.

Nei suoi anni alla Nasa divenne così esperto nel guidare il modulo di comando che coda redigere un libro di 117 pagine con tutte le procedure di emergenza possibili.

Dopo essere tornato sulla Terra divenne direttore del National Air and Space Museum e poi sottosegretario dello Smithsonian Institution, uno dei più autorevoli musei e centri di ricerca scientifici degli Stati Uniti.

Pochi i momenti in cui mostrò emozioni.  Il primo fu relativo all’ipotesi di tornare sulla terra da solo. Era stata prevista la possibilità che la missione fallisse e che i due astronauti atterrati sulla luna non riuscissero ad riagganciarsi al Modulo di Comando.

Si racconta che il presidente Nixon avesse pronto un discorso di commiato nel caso i due non fossero sopravvissuti.

Nel caso, Michael Collins avrebbe dovuto rientrare, passando alla storia come il sopravvissuto con tutto il peso del dramma. “Non mi sarei suicidato ma avrei dovuto convivere con quel peso per tutta la vita”.

L’altro momento di ‘debolezza’ riguarda la vista della Terra da lontano, persa nel nero dell’universo.

“Quando ho guardato la Terra da così lontano, così piccola da poterla coprire con la punta di un dito, luminosa, azzurra per l’oceano, bianca per le nubi, in mezzo a tutto il nero dell’universo, la prima parola che è balzata alla mia mente è stata “FRAGILE”. E ancora: “Come è piccolo e fragile il nostro pianeta. E oggi a distanza di 50 anni da quel giorno penso che non abbiamo ancora capito quanto”.