Migranti Venezuela, il Brasile schiera l’esercito

    La crisi migratoria sta sconvolgendo l’intera America Latina. Quasi due milioni di venezuelani hanno lasciato il loro paese alla ricerca di nuove opportunità, specialmente nel sud del continente, in Perù e Cile. Altri attraversano i confini del Brasile e si organizzano in campi di fortuna. Il presidente Michel Temer ha deciso di mobilitare l’esercito e ha inviato centinaia di soldati a Roráima, la provincia di confine nel nord del paese dove almeno 10 mila venezuelani vivono da mesi in condizioni difficili.

    Il decreto, che resterà in vigore fino al 12 settembre prossimo, si innesca dopo l’ultimo grave episodio di violenza e intolleranza xenofoba. Esasperato dalle precarie condizioni igieniche e di assistenza e dalla presenza di piccoli criminali, un centinaio di abitanti ha attaccato un campo allestito nella piccola città di Pacaraima, proprio al confine con il Venezuela. Ci sono stati scontri violenti, migranti inseguiti e picchiati e alla fine il campo è stato colpito da alcuni cocktail Molotov e distrutto dalle fiamme.

    L’intrusione avvenne dopo l’ennesimo furto subito da un mercante che fu anche picchiato e gravemente ferito. Pacaraima come Lampedusa. L’ondata migratoria non è più un problema europeo. È diventato un fenomeno e un’emergenza mondiale. Qui in America Latina, soprattutto. Come risultato della nefanda guida politica di Nicolás Maduro in Venezuela. Secondo il presidente, l’uso delle forze armate garantirà la legge e l’ordine a Roraima. “Naturalmente”, ha precisato Temer durante l’annuncio a Planalto, “la sicurezza sarà garantita sia ai cittadini brasiliani sia agli immigrati venezuelani in fuga dal loro paese in cerca di un rifugio in Brasile”.

    Si tratta di una disposizione radicale, inedita per un paese sempre sensibile all’uso dei militari dopo i venti anni di feroce dittatura (1964-1984). La Corte Suprema aveva bandito la chiusura dei confini perché era considerata una violazione del diritto internazionale. I soldati sorvegliano le autostrade e le strade del nord del Brasile, ai posti di confine e oltre il confine con il Venezuela, che si estende a nord ea nord-est.

    Tra il 2017 e il 2018 i cittadini venezuelani sono entrati nel paese. Molti sono entrati, nonostante lingue e usanze molto diverse. Altri sono rimasti sulla scena in attesa di poter tornare a casa. Ma le difficili condizioni igieniche e la presenza di tanti immigrati accampati tra i migliori per strada e nelle piazze hanno reso incandescente il clima ormai esasperato da toni sempre più xenofobi e dall’intolleranza. La situazione rimane molto seria anche nel nord del Perù, letteralmente aggredita da decine di migliaia di venezuelani dopo che il governo, venerdì scorso, ha deciso di vietare l’ingresso agli immigrati senza passaporto. In tre distretti della provincia di Tumbes, famosa località turistica internazionale, è stata dichiarata l’emergenza sanitaria. Le autorità locali non sono più in grado di garantire un’adeguata assistenza; sono sopraffatti dalla presenza di migliaia di venezuelani che vivono nelle strade e nelle piazze. Il decreto eccezionale è stato firmato da tutto il governo.

    Fino a giovedì scorso, 400.200 immigrati sono entrati in Perù. In quattro giorni sono aumentati a 414.011. Sia il Perù che il Brasile hanno chiesto all’ONU di istituire un organismo specifico dell’UNHCR per l’America Latina. Finora, quasi due milioni di venezuelani sono fuggiti dal paese governato da Nicolas Maduro. Ma la devastante crisi economica in Venezuela e le cattive prospettive nell’immediato futuro stanno spingendo centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini a fuggire verso le frontiere della Colombia e del Brasile in cerca di lavoro e nuova vita.