Still recording’, il racconto della guerra in Siria in presa diretta

    Il racconto della guerra in Siria in presa diretta.
    E’ con questo importante punto focale che parte l’analisi e la proposta di Still Recording.
    Fare un report sulla guerra in Siria deve esser stato un lavoro davvero complesso. C’è una sequenza in Still recording, il documentario di Said Al Batal e Ghiath Ayoub, mostrato alla Settimana della critica durante l’ultima edizione del Festival del cinema di Venezia, che da sola spiega meglio di mille parole quello che è avvenuto in Siria dal 2011 a oggi: con l’utilizzo di una radio a onde corte, un ribelle e un soldato fedele al governo di Bashar al Assad si parlano, ai lati opposti della barricata che con un assedio prolungato e barbaro per anni ha spaccato in due la Ghouta orientale, un’area alle porte di Damasco, la capitale. I due hanno in comune solo la lingua: “Da dove vieni?”, domanda il ribelle. “Dalla Siria”, la risposta del soldato. “Quale zona della Siria?”, ridomanda il ribelle. “La Siria unica, indivisibile. La sola. La Siria del presidente Bashar al Assad”. E così i due si parlano per giorni, dialogando per lo più senza uno scontro fisico, ma con due concezioni diverse del mondo, della loro nazione e della sorte che le spetta: e sparandosi, giorno dopo giorno. Still recording arriva ora nei cinema italiani e mostra agli spettatori il racconto parallelo di un quadriennio di vita e di assedio mortale nelle zone periferiche di quella che era una delle città più affascinanti del mondo arabo. C’è la Ghouta con i suoi giovani idealisti, che poi si trasformeranno in ribelli e prendono le armi. E poi si dividono: per fame, per ambizione, per l’arrivo degli islamisti. E molte volte vanno incontro a morte certa, anche sotto lo sguardo della videocamera che li riprende. E poi c’è Damasco, con la sua assurda normalità e il desiderio di fuga notturna di chi vuole dimenticare i pericoli mattutini di ogni giornata, affrontati da chi vuole condurre il sogno di una rivoluzione stroncata da pochi mesi dalla sua nascita: travolta dall’arrivo degli islamisti, delle loro armi e dei loro soldi provenienti da fuori la Siria. E dalla violenza sanguinaria di una dittatura che ha mietuto migliaia di vittime e ha cacciato dal Paese 11 milioni di Siriani, la metà degli abitanti prima della guerra. Il tutto è raccontato attraverso le vite parallele di due amici, che vivono ai lati opposti del fronte. Still recording è il riassunto di centinaia di ore di girato, opera dei registi, ma soprattutto dei ragazzi che, all’inizio della rivoluzione, i due hanno allenato affinché diventassero videomaker, è il racconto in presa diretta di ciò che è successo in Siria. Durissimo, non risparmia nessuno dalle critiche: per primi non ai miliziani, cui gli autori delle immagini fanno ricorso spesso. Non c’è eroismo, non c’è retorica: solo un fortissimo inno alla vita, anche in condizioni ppericolossissime. Che ha il merito di non essere filtrato, come tanti dei film e dei documentari sulla Siria usciti in questi anni: chi narra lo fa perché era presente in quei luoghi. E per esserci ha dovuto pagare caro: emotivo, quando non fisico. Ma nonostante ciò ha continuato a girare: sempre e comunque. Still recording appunto. L’elenco finale dei videomaker che hanno partecipato al progetto e della loro sorte è un pugno nello stomaco: si può scegliere di non vedere, di non sapere, di non condividere. Ma non si può restare indifferenti.