TRATTATIVA STATO-MAFIA: CHIESTI 12 ANNI PER DELL’UTRI E 15 PER L’EX GEN MORI

    Nell’ambito del processo sulla trattativa tra Stato e mafia, stamane la Procura palermitana ha chiesto 12 anni di carcere nei confronti dell’ex senatore Marcello Dell’Utri, accusato di minaccia a corpo politico dello Stato. I pm di Palermo hanno poi chiesto 15 anni di carcere per il generale Mario Mori mentre, per il generale Antonio Subranni e Giuseppe De Donno (ex ufficiali del Ros), sono stati chiesti 12 anni di carcere. E ancora: 16 anni di reclusione per il boss mafioso Leoluca Bagarella e per il boss Antonino Cinà (tutti e due accusati sempre di violenza e minaccia a corpo politico dello Stato), sono stati chiesti 12 anni di reclusione. E’ andata bene al collaboratore di giustizia Giovanni Brusca in quanto, per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, la Procura ha chiesto il non doversi procedere. I pm hanno inoltre chiesto 6 anni di carcere per l’ex Presidente del Senato Nicola Mancino, ma per falsa testimonianza, spiegano dalla Procura, “Per avere, deponendo come testimone, innanzi al Tribunale di Palermo nel processo nei confronti di Mario Mori e di Mauro Obinu, anche al fine di assicurare ad altri esponenti delle istituzioni la impunità rispetto ai fatti, affermato il falso e comunque taciuto in tutto o in parte ciò che sapeva intorno ai fatti sui quali veniva interrogato. In particolare, affermando falsamente di non essere mai venuto a conoscenza: dei contatti intrapresi, in epoca immediatamente successiva alla strage di Capaci, da esponenti delle istituzioni, tra i quali gli ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Giuseppe De Donno, con Vito Ciancimino e per il tramite di questi con gli esponenti di vertice dell’associazione mafiosa di cosa nostra”. Per Massimo Ciancimino, teste chiave del processo sulla trattativa tra Stato e mafia, chiesta una condanna a 5 anni di carcere per icalunnia (e il non doversi procedere per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa, in quanto prescritto). E’ invece accusato il figlio dell’ex sindaco di “avere consapevolmente e fattivamente contribuito al sostegno e al rafforzamento dell’associazione mafiosa, denominata Cosa nostra, svolgendo il ruolo di latore di messaggi scritti con comunicazioni orali fra il padre Vito e Bernardo Provenzano” ma anche di calunnia nei confronti dell’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, avendolo incolpato “sapendolo innocente di avere nella sua qualità di funzionario della Polizia intrattenuto costanti rapporti illeciti con esponenti di cosa nostra”. Come ha poi comentato al termine dell’udienza il pm Nino Di Matteo, “Siamo arrivati al termine della requisitoria, la presenza mia e del collega Francesco Del Bene cessa con l’udienza di oggi. Personalmente è stato per me un impegno, tra le Procure di Caltanissetta e di Palermo durato 25 anni. Ho seguito questo processo fin dall’inizio, dalle indagini preliminari. Un processo che è destinato a portarsi dietro una scia infinita di veleni e di polemiche. Man mano che siamo andati avanti – ha aggiunto ancora il giusice – ho avuto contezza del costo che avrei pagato per questo processo, e credo di non essermi sbagliato. Hanno più volte affermato che l’azione di noi pm è stata caratterizzata persino da finalità eversive, e nessuno ha reagito. Nessuno ci ha difeso di fronte ad accuse così gravi, ma noi lo abbiamo messo in conto. Così avviene in questi casi, in cui l’accertamento giudiziario non si limita agli aspetti criminali ma si rivolge a profili più alti e causali più complesse. Siamo veramente onorati di avere avuto l’occasione di confrontarci con la serenità e l’autorevolezza della corte d’assise – ha quindi concluso Di Matteo – abbiamo l’ulteriore certezza che ci fa vivere con coraggio che nessuno ci potrà togliere: quella di avere agito per cercare la verità”. Il giudice ha poi commentato quei suoi momenti “di profondo isolamento, ma sempre con la consapevolezza che stiamo compiendo il nostro dovere”. C’è da sottolineare, tra l’altro, la dichiarazione del doversi procedere “per la morte del reo”, chiesta alla fine della requisitoria dai pm di Palermo nei condronti del capomafia Totò Riina, morto lo scorso 17 novembre.
    M.