Non si erano mai incontrati tra loro ma pianificavano di farlo prima della manifestazione contro il Green pass di Roma dell’11 e 12 settembre gli 8 membri della chat Telegram denominata “I guerrieri” al centro dell’indagine della Procura di Milano per istigazione a delinquere aggravata. Erano oltre 200 i membri del gruppo, ma solo 8 quelli indagati: cinque uomini e tre donne, tutti all’incirca 50enni, tranne un uomo di 33 anni. Due di loro, tra cui il creatore della chat, sono milanesi, due i romani, uno di Bergamo, uno di Reggio Emilia e poi due veneti, da Padova e Venezia.
Quest’ultima, una donna, era una simpatizzante dell’indipendentismo veneto, a cui nel 2019 era stato ritirato il porto d’armi per uso sportivo per problematiche psichiatriche. Italiani, di estrazione sociale medio bassa, tra loro ci sono disoccupati, operai, dipendenti di catene commerciali e il custode di un condominio, senza legami con gruppi estremisti di destra o sinistra, né con l’ala anarchica. Persone che alle manifestazioni contro il green pass estive o non hanno partecipato o lo hanno fatto in modo defilato, tanto che nessuna di loro era stata identificata dalla Polizia.
Fin dall’inizio della pandemia si scambiavano idee complottiste e no vax – tra le teorie diffuse quella secondo cui vip e parlamentari si erano fatti iniettare soluzione fisiologica al posto del vaccino “velenoso” – ma nell’ultimo mese, da quando è stata avviata l’indagine condotta dalla Digos e dalla Polizia Postale di Milano, la discussione dell’estensione del green pass è stata la miccia che ha alzato il livello della violenza verbale. “E’ come se queste camere d’odio (le chat, ndr) facessero esplodere il peggio di queste perone che in questo circuito ristretto si sentono libere di dire le cose più velenose, che forse mai si sarebbero permessi di dire in un contesto pubblico”, ha spiegato in conferenza stampa il dirigente della Digos Guido D’Onofrio.
A far scattare le perquisizioni della Polizia, però, è stata l’intenzione manifestata dagli 8 indagati di passare dallo scambio delle opinioni alla “violenza di piazza”. “Non dobbiamo solo scrivere, dobbiamo darci da fare”, si esortavano in chat. Nel mirino le forze dell’ordine, il governo e soprattutto i giornalisti. Tra le azioni congetturate quella di dare fuoco ai furgoni delle tv o di far scoppiare il Parlamento, facendo brillare da remoto una bomba con un drone. E poi c’erano la corsa ad armarsi. Uno dei perquisiti, un bergamasco, deteneva regolarmente due pistole per uso sportivo, ma stava cercando di acquistare altre armi su internet, con l’obiettivo – ha spiegato ai poliziotti – di “migliorare la sua collezione”.
Un altro aveva acquistato online due tirapugni, mentre l’utente di Reggio Emilia – nella cui casa sono state trovate katane, sfollagente e spray al peperoncino – in chat scriveva “se mi scoprono, per quello che ho, sicuramente mi arrestano per terrorismo”. Esageravano nel gruppo a descrivere il loro arsenale, per incitare gli altri membri ad armarsi – anche con molotov – per la manifestazione nella Capitale: nel gruppo li esortavano ad andare a procurarsele nei campi rom o a costruirsele da soli.
Dalle indagini al momento non sono emersi collegamenti tra gli attivisti no vax indagati e gruppi antagonisti romani. Quella dei ‘guerrieri’ è l’unica chat di quelle no vax in cui sia emersa la volontà degli utenti di passare dalle parole ai fatti, ma l’analisi dei dispositivi elettronici perquisiti potrà consentire di scoprire ulteriori attività.