“Un’apertura vera sulla riforma costituzionale ancora non c’è. Tocca a Renzi farla”. Lo dice Roberto Speranza, della minoranza Pd, interpellato alla Camera dopo l’intervento di ieri del segretario. Speranza giudica positivo il tono del premier in assemblea al Senato, ma ribadisce che una mediazione deve necessariamente passare da una modifica all’articolo 2. “Nessun prendere o lasciare, nessuna disciplina di partito”. Matteo Renzi tiene aperto il dialogo con la minoranza Pd sulla riforma costituzionale. E dà “ancora qualche giorno” ai senatori, ma anche ai deputati per trovare un accordo che permetta di accelerare e approvare il ddl al Senato il prima possibile, per consentire anche alla legge sulle unioni civili di essere approvata prima del 15 ottobre, quando sarà presentata la legge di stabilità. Il premier invita la minoranza Pd a non drammatizzare o annunciare “barricate”. Ma tiene anche fermo quel paletto che finora ha impedito di avvicinarsi a un’intesa: cambiare l’articolo 2, come chiede la sinistra Dem, vorrebbe dire rimettere “tutto in discussione”. I presupposti per una intesa perciò, osservano a caldo dalla minoranza, il premier ancora non li ha creati. Quando alle 20 Renzi apre l’assemblea del gruppo nella sala Koch di Palazzo Madama, alle orecchie dei senatori è da poco giunta una dichiarazione del ministro Maria Elena Boschi: “La maggioranza c’è, ha i numeri, e l’auspicio del governo è che ci sia anche tutto il Pd”. Ma non è il preannuncio di una dichiarazione di guerra. Anzi. Il premier apre e chiude il suo intervento con un richiamo alla “responsabilità” del Pd, che con le riforme del suo governo ha fatto “ripartire il Paese” e ora deve proseguire, per tenere fede a un impegno di superamento del bicameralismo perfetto che viene ripetuto “da 70 anni”. In nome di questa responsabilità, dichiara Renzi, “non vogliamo un muro contro muro e i toni profondamente esasperati di questi giorni. Non diciamo prendere o lasciare ma proprio perché è la Costituzione, non hanno senso barricate”. La disponibilità del governo e della segreteria Pd al dialogo c’è ed è dimostrata, sottolinea, “dai 134 emendamenti approvati, 62 al Senato e 72 alla Camera” approvati finora: “Si può dire tutto meno che sia un atto di forzatura e in pericolo la democrazia”. “Non abbiamo invocato la disciplina sulla scuola e il Jobs act figuriamoci se lo facciamo sulla Costituzione”, replica Renzi a Pier Luigi Bersani, che in mattinata aveva lamentato l’assenza di un confronto e lo aveva avvertito: “Sulla Costituzione non c’è disciplina di partito”. Il senatore bersaniano Miguel Gotor, tra i capofila dei 28 firmatari degli emendamenti per il Senato elettivo, a margine dei lavori della commissione aveva parlato di “machismo costituzionale”. I 28, al termine di una riunione mattutina, avevano ribadito compattezza sugli emendamenti per il Senato elettivo e sottolineato che non c’è apertura possibile senza una modifica all’art. 2 del testo, che regola la composizione del Senato. Ma Anna Finocchiaro e Luciano Pizzetti prima, Boschi e Renzi poi, pur ribadendo l’apertura ad allargare le competenze del Senato e modificare il meccanismo di scelta dei senatori (“Concordate le modifiche anche con i deputati”, propone il premier), tengono fermo il no a cambiare l’articolo 2 perché, non si stancano di ripetere, è già stato approvato in lettura conforme dalla Camera e cambiarlo vorrebbe dire ripartire d’accapo. In serata il presidente del Senato Pietro Grasso, chiamato in causa dall’una e dall’altra parte come l’arbitro che può decidere la partita ammettendo o meno emendamenti al ’conteso’ articolo, si tira fuori dalla mischia e chiama i partiti alle loro responsabilità. “Ogni giorno che passa senza un confronto vero, a tavolino e non sui giornali, è un giorno sprecato, e fra un mese comincia la sessione di bilancio”, incalza. “Io mi potrò pronunciare solo in Aula, quando avrò gli emendamenti da valutare”, ribadisce. Come a dire che un’intesa politica deve precedere la decisione regolamentare e non si può appellare ad essa. Ma in ambienti renziani si fa notare che sapere se a norma di regolamento si possa intervenire sull’articolo 2 è dirimente per definire il perimetro entro il quale bisogna trovare quella intesa politica. Anche se, sottolineano gli stessi renziani, di fronte alla scelta di Grasso di aprire a modifiche che farebbero “ripartire d’accapo” il percorso, il governo potrebbe decidere di mettere sul piatto la vita stessa del governo, ponendo la questione di fiducia su quel singolo articolo. I senatori di Forza Italia, che si riuniscono quasi in contemporanea, confermano il loro no alla riforma e notano che Renzi non ha i numeri per farla passare (avrebbe 183 senatori, da cui sottrarre i 28 della minoranza), anche perché starebbero aumentando i mal di pancia dentro Ncd. Ma Renzi per ora non va allo scontro. Tiene aperto il dialogo anche con gli altri partiti.