(Adnkronos) – Nel bene e nel male. Stando dalla sua parte o, al contrario, prendendone la maggiore distanza possibile. Sostenendolo o subendolo, comunque vivendo dall’inizio e fino alla fine tutta la sua vita politica. Silvio Berlusconi, imprenditore miliardario diventato premier, è stato anche l’uomo che ha segnato una generazione. Chi proprio nel gennaio 1994 per ragioni anagrafiche ha iniziato ad avere una coscienza politica formata, ha vissuto ‘la discesa in campo’ come un vero e proprio battesimo dell’età adulta.
È cambiata in quel passaggio storico la prospettiva e, da allora, nessun altro protagonista della vita pubblica è stato così presente, rilevante, e ingombrante, come lui. L’Italia usciva frastornata da Tangentopoli, la coda euforica e inconsapevole degli anni Ottanta si era definitivamente esaurita, e l’uomo delle televisioni private, il super ricco che si sarebbe dimostrato capace di convincere milioni di Italiani a seguirlo, iniziava a dividere. Allora, molto più che oggi, la distinzione tra il bene e il male polarizzava i gruppi. Nelle scuole, nelle università, nella società, dopo anni di sostanziale torpore, si tornava a essere pro o contro, dentro o fuori un recinto politico, culturale, perfino antropologico.
I nati negli anni Settanta, soprattutto quelli della prima parte, hanno vissuto l’arrivo di Berlusconi, e la nascita del berlusconismo, come uno spartiacque. Prima di lui, c’era una distinzione netta, almeno nella percezione più diffusa e condivisa, tra politica, impresa, successo, calcio e ricchezza. Il conflitto di interessi era solo un’ipotesi di scuola. Con lui, all’improvviso, è stato possibile mettere tutto insieme. Identificandosi nel modello, per una parte, o sperimentando quella repulsione che non avrebbero mai abbandonato, per un’altra parte.
Altre generazioni hanno vissuto il trentennio berlusconiano. Ma lo hanno fatto in maniera diversa. Chi ha vissuto la politica prima di Berlusconi è arrivato all’appuntamento con quella curva della storia con un bagaglio di esperienza che ha potuto confrontare, e pesare, rispetto a quello che stava accadendo. Chi è nato negli Ottanta, e dopo, ha vissuto un contesto in cui l’effetto Berlusconi era stato già in parte metabolizzato.
Chi è nato nel 1975, vede finire oggi un ciclo vissuto per intero e coinciso interamente con la propria età adulta. Ad aprile 1994, Silvio Berlusconi aveva appena stravinto per la prima volta le elezioni. Pochi mesi dopo, arrivava la maturità durante i Mondiali negli Stati Uniti, quelli della finale di Pasadena e del rigore di Roberto Baggio. Insieme al primo governo Berlusconi, quello con Maroni, Tremonti, Previti, D’Onofrio e Mastella, affrontavamo i primi anni dell’università. Il berlusconismo aveva già diviso il mondo, da una parte il popolo di Silvio, dall’altra l’opposizione di tutti gli altri.
Il secondo governo Berlusconi, e siamo al 2001, segnava l’ingresso nel mondo del lavoro ‘che conta’, quello stabile e contrattualizzato. C’erano Fini e Follini vicepresidenti, e poi Scajola, Buttiglione, Bossi, Giovanardi, Gasparri e Alemanno, all’economia prima ancora Tremonti e poi Siniscalco. Diverse leggi a segnare un’epoca, la Bossi-Fini, il lodo Schifani, la legge Biagi, la legge Gasparri e la riforma Moratti. Il terzo governo Berlusconi, tra aprile 2005 e maggio 2006, lasciava poco, in attesa della fine della legislatura. Il berlusconismo era comunque diventato un attributo dell’essere, oltre che un fenomeno di massa. Il quarto governo Berlusconi arrivava nel 2008, con Calderoli, Brunetta, Alfano, una giovanissima Meloni, ancora Tremonti e Maroni. Due anni dopo, l’epico scontro del ‘che fai, mi cacci?’ tra Berlusconi e Fini. Era la prima vera contestazione al berlusconismo dall’interno dell’area di centrodestra, fuoco amico e non l’opposizione storica del centrosinistra. Quando il berlusconismo sembrava implodere era il 2011. Il culmine di una crisi politica, economica e sociale, quella dello spread a 550 punti, del bunga bunga e delle olgettine. Sembrava la fine del berlusconismo, che appariva ai più disperdersi nelle vicende giudiziarie.
Invece Berlusconi sarebbe stato capace di resistere sulla scena ancora per più di dieci anni. Meno influente di quanto avrebbe voluto ma sempre pesante, con meno voti ma con una presenza mai messa in discussione. E oggi lascia un vuoto simile in chi l’ha sostenuto e anche in chi l’ha sempre combattuto. Come succede per le persone che con le azioni, le parole, le promesse e le illusioni, gli errori e le responsabilità, hanno contribuito a scrivere trent’anni di storia, e di vita. (Di Fabio Insenga)