Atac: l’odissea di un’azienda in concordato preventivo, mortalmente ferita dagli ‘sciupi’

    Che l’atac non stia vivendo il momento più florido della sua lunga, e controversa, gestione del traporto pubblico della Capitale, non è certo una novità. Tuttavia, premessa la fallimentare casistica dello stato di efficienza dei mezzi in circolazione (che si traduce soprattutto in estenuanti attese alle pensiline), ciò che più sorprende, come recentemente ‘appurato’ da un’accurato reportage del sito giornalistico tpi.it, è il continuo comportamento ‘atipico’ rispetto alle spese in uscita, a dispetto di un bilancio interno dir poco disastroso.

    UNA SITUAZIONE INQUIETANTE

    A fronte di un organico composto da oltre 11mila dipendenti, nel 2017, rispetto a quanto previsto dal contratto stipulato, Atac ha evaso il 23,4% in meno dei servizi di metropolitana ed il 18,1% in meno riguardo ai mezzi di superficie. Ed è soprattutto in primis la sicurezza – disservizi a parte – a rappresentare il doloroso tallone d’Achille: con ben 21 vetture andate in fiamme solo nel 2018.
    ‘Forte’ di un’età del 40% superiore rispetto alla media europea, ogni giorno sulle strade della capitale transitano vetture che hanno 12 anni e tram varati addirittura 32 anni fa. Uno stato di vetustà che salta agli occhi analizzando la crescente percentuale di guasti nel corso degli anni: se nel 2007 rappresentavano infatti ‘appena’ l’8%, nel 2016 sono saliti al 36%.
    Con una media di 4 milioni di spostamenti all’interno dell’area urbana, c’è intanto da spiegare che Atac è una società concessionaria del trasporto pubblico della città metropolitana di Roma la quale, da 8 anni è affiancata dal un’azienda privata -Roma Tpl – che gestisce diverse linee periferiche e del Centro di Roma.
    Lo scorso settembre 2017 Atac ha presentato domanda per essere ammessa alla procedura di concordato preventivo, accolta dal Tribunale fallimentare di Roma; il 27 dello stesso mese, è stata quindi ammessa alla procedura per l’anno corrente. Inoltre, nel 2019, come da precedenti contratti stipulati con la regione Lazio, l’azienda cederà in toto la gestione delle ferrovie concesse Roma-Lido, Roma-Giardinetti e Roma-Viterbo, che saranno messe a gara. Un accordo sul quale, in particolare, si sta trattando tra Regione e Comune circa l’eventuale concessione della Roma-Giardinetti e della tratta urbana della Roma-Viterbo al Comune di Roma.
    Dunque, come abbiamo visto, una situazione abbastanza delicata (e come vedremo anche nelle mani dei romani attraverso l’imminente referendum), acclarata da quanto scritto dal sito giornalistico sopracitato, circa la ‘regalia’ che l’elefantiaca azienda del trasporto pubblico sta dilapidando in consulenze legali esterne.

    IL CASO QUINTAVALLE E LE SPESE ‘ESTERNE’

    Con ben 21 avvocati interni, e qualcosa come 1,3 miliardi di debito accumulati, quando si tratta di affrontare le cause di licenziamento nei confronti dei suoi dipendenti, Atac avrebbe mostrato di preferir rivolgersi a professionisti ‘esterni’ spendendo ad oggi qualcosa come un milione e 200mila euro. Nonostante nel suo ufficio legale interno, come dicevamo, figurino 21 dipendenti (8 dei quali avvocati patrocinanti in azienda), e sebbene sia in una condizione di concordato preventivo, e con debiti miliardari.
    A scoperchiare l’ennesimo sperpero, il recente caso della sindacalista e conducente Micaela Quintavalle (nella foto, quando prestava ancora servizio per l’azienda), guarda caso licenziata dopo aver lungamente denunciato l’assenza di manutenzione degli autobus romani. A contribuire alla ‘cacciata’ dell’ex autista (che ha annunciato un imminente ricorso contro tale provvedimento), definita dai suoi colleghi una vera e propria ‘pasionaria’ in tema di diritti, una clamorosa denuncia rilasciata nel corso di un’intervista con ‘Le Jene’ di Italia Uno, quando la Quintavalle rivelò tra l’altro la rovinosa gestione dell’azienda.
    Ebbene, in occasione del primo procedimento che la Quintavalle aveva avviato, ricorrendo contro la sospensione disposta nei suoi confronti, l’azienda di trasporti ha puntualmente ‘bypassato’ il suo staff legale, rivolgendosi all’avvocato Maddalena Boffoli, noto giuslavorista, per giunta con studio a Milano. Nello specifico, spiega ancora il sito Tpi.it,
    la Boffoli risulterebbe iscritta nella  lista pubblicata da Atac online, dei legali accreditati ai quali affidare incarichi di assistenza giudiziale in materia di lavoro. Basti pensare che, al 2 ottobre 2018, la giuslavorista milanese risulta avere due incarichi difensivi conferiti dall’azienda, e che, in generale, gli incarichi conferiti a professionisti esterni (nonostante in regime di concordato preventivo), ruotano per l’appunto intorno al milione e 200mila euro.
    Tanto per rendere idea di cosa stiamo parlando, per la stessa cifra – vista la ‘facilità con la quale i nuovi bus finiscono in fiamme – è stato accettato un appalto per il montaggio di appositi dispositivi antincendio su 400 autobus!
    Attenzione però: è una prassi lecita, consentita, intendiamoci.
    Raggiunta dai reporter di tpi.it, Valentina Cicconi, legale difensore della Quintavalle, in merito al ruolo dei difensori interni all’azienda, ha affermato che “Questi avvocati, fra cui rientrano evidentemente quelli dipendenti di ATAC s.p.a., costituiscono un ufficio legale interno e possono patrocinare esclusivamente le cause dell’ente di appartenenza. Nulla osta, però, che l’ente conferisca incarichi ad avvocati del libero foro, soprattutto in caso di giudizi particolarmente complessi”. Dal canto suo la Boffoli, dopo aver sottolineato “Non so ancora se seguirò la causa per il licenziamento di Quintavalle, la prima parte del contenzioso l’ho seguita io, non so se sarà affidato a me”, alla domanda perché Atac ritiene di dover affidarsi a legali esterni, la giuslavorista ha affermato che “Il carico del lavoro per questo tipo di contenziosi in Atac non sempre consente che le cause possano essere seguite dalla struttura. La professione di avvocato, come quella del medico, va avanti per specializzazioni. Lei sa farebbe mai curare la vista da un ortopedico? Credo di no. Quindi a volte, quando il carico dei loro avvocati sulle cause giuslavoristiche è troppo, si rivolgono a turnazione agli esterni. Poi può capitare che, come in tutte le società controllate da pubblica amministrazione, la specificità di determinati contenziosi, anche per la delicatezza della materia, può richiedere l’ausilio di un avvocato esterno che, avendo una visione più ampia del panorama di casistiche giuslavoristiche, può essere più utile. Noi non abbiamo contratti di consulenza, veniamo incaricati di gestire il contenzioso. Peraltro – aggiunge la Boffoli a tpi.it – con richiesta di riduzione rispetto alle tariffe minime previste dagli albi professionali, proprio per venire incontro alla società, che vengono rigorosamente controllate.Bisogna considerare inoltre che alcuni di quei casi presentano anche le condanne dei lavoratori a pagare le spese legali, quindi molti di quegli importi verranno recuperati dalla società che è risultata vittoriosa”.

    UN BILANCIO ATTIVO… MA OGGI

    Attualmente, grazie soprattutto al congelamento dei debiti – frutto del concordato – l’azienda, il bilancio semestrale 2018 presentato lo scorso settembre, è riuscito finalmente ad evidenziare (dopo anni), un attivo di 5,2 milioni di euro. Ma a rincarare l’amara verità, basta dare un’occhiata al bilancio 2017 di Atac – sempre apparso online – dove si evidenzia che i cosiddetti ‘costi per servizi’ sono stati circa 179 milioni, con oltre 6 milioni finiti in ‘consulenze e prestazioni professionali’.
    E se il sito spiega che “Per le spese relative alle consulenze specialistiche e professionali, la Società continua a perseguire gli obiettivi di massima valorizzazione delle risorse interne, con ricorso solo eventuale e adeguatamente motivato a competenze e professionalità esterne. Al riguardo la Società si è dotata di un’apposita procedura volta a disciplinare le fasi di programmazione, acquisizione e monitoraggio delle consulenze, con l’obiettivo di definire in modo univoco il criterio di riferimento vincolante per una appropriata classificazione contabile delle prestazioni in argomento. Il costo per consulenze, pari a euro 106.437, fa segnare un notevole risparmio rispetto al valore dell’esercizio precedente”, l’attento sito diretto da Giulio Gambino, snocciola invece le cifre affermando che, nello specifico, sarebbero stati ripartiti 106mila euro per le consulenze, 810mila euro per le prestazioni tecniche ingegneristiche, circa 3 milioni per assistenza servizi informatici e, infine, 2milioni e mezzo sono stati assorbiti dalle prestazioni varie da terzi. Ma non è tutto, tpi.it rivela infatti che da un altro documento dove appaiono i creditori di Atac, viene specificato che, al 17 settembre 2017, vi sarebbero debiti dell’azienda verso i professionisti (quasi tutti avvocati) per oltre 5 milioni di euro, con lo stesso avv. Boffoli in attesa di incassare ancora 293mila euro, che specifica trattarsi però di gestione di contenziosi, e non di consulenza.

    LA SCOTTANTE DENUNCIA DELLA SINDACALISTA

    Come dicevamo, segretario nazionale del sindacato Cambiamenti M410, dopo 128 giorni di sospensione, l’autista Micaela Quintavalle è stata licenziata lo scorso 25 settembre. Mesi prima, esattamente nel maggio 2018, la Quintavalle aveva denunciato a ‘Le Jene’ le diffuse e ripetute problematiche in seno alla ‘sua’ azienda (malfunzionamenti, guasti, ecc), rivelazioni non gradite da Atac che reagì accusando la sindacalista di aver violato il codice etico aziendale. Da qui la sospensione e la lettera di licenziamento.

    “BISOGNA INVESTIRE TUTTO NELLA SICUREZZA”

    Prossima ai 38 anni ed al quinto anno alla facoltà di Medicina (“Ho dato l’esame di Anatomia patologica il giorno dopo essere stata licenziata”, spiega), Michela Quintavalle in realtà ha da sempre un sogno nel cassetto: diventare medico.
    Nel quotidiano però, per mantenersi agli studi è divenuta autista dei mezzi Atac, e sindacalista: “Pensavano sarei stata zitta, ho lottato per M5S ma da Atac sono stata cacciata”, afferma amareggiata. Lei che quando le domandano cosa non funziona in Atac, risponde pronta: “Bisognerebbe capire cosa funziona. Lo dico senza troppo sarcasmo. In Atac ci sono tante cose che non funzionano”. Rispetto a quanto accaduto la Quintavalle assicura che “Non provo rabbia né voglia di vendetta, parlo solo con molta rassegnazione. Quello che è accaduto a me dimostra che al di là di ogni colore politico se c’è incompetenza non si riesce a risollevare un’azienda importante come Atac.
    Dire che si vuole tenere Atac pubblica, come hanno detto i Cinque Stelle da quando si sono insediati, ma muoversi con incompetenza, è più delinquenziale rispetto agli altri partiti che vogliono privatizzarla. Inevitabilmente, vista l’imminenza dell’11 novembre, il discorso scivola sul referendum aperto alle scelte di 800mila cittadini romani. E Michela è convinta che vinceranno i ‘Sì’: “Non so come sarà impostata la domanda, ma se chiedi a un cittadino se gli piace come funziona Atac risponde di no. Ed è normale che dica di sì all’unico cambiamento tangibile.Io però non sono favorevole. A Roma c’è già un’azienda privata, la Roma Tpl, e non funziona. Il privato deve guadagnare, quindi perde la ragione sociale. Se paga e maltratta gli autisti ha un personale viaggiante che è ancora più stressato, terrorizzato e represso. Di sicuro non è la privatizzazione il problema – ribadisce ancora la sindacalista – È che per anni quest’azienda è stata spolpata, bisogna ritornare a investire. Si deve rinnovare il parco vetture che in Atac è vecchissimo, nonostante ci siano queste 400 vetture rosse che loro tanto esaltano. Quando c’è una qualsiasi figura di spicco, tutte le vetture rosse vengono portate tutte allo stesso deposito, il piazzale viene tirato a lucido, vengono dette le stesse cose di circostanza ai lavoratori e ai cittadini. E sembra quasi che questa figura di spicco si faccia consapevolmente prendere in giro. Ma poi il succo non cambia, anzi. Credevo che i Cinque Stelle non potessero mai fare peggio in Atac di chi c’era prima di loro. Invece ci sono riusciti. Guardando le attese alle fermate, parlando con i cittadini – e chi ci lavora ci parla quotidianamente – si capisce che il servizio è peggiorato. Vedere loro che, senza umiltà, parlano di bilancio in positivo e dicono che stanno rilanciando perché hanno messo il tornello su una sola vettura, a noi sembra una continua campagna elettorale, che non ha portato a nulla di positivo. Hanno cominciato a levare autobus e mezzi senza un minimo di competenza, hanno fatto dei danni macroscopici nel trasporto pubblico, che è anche imbarazzante stare a raccontare”. Ma avrà imbracciato la causa pentastellata non sembra aver tuttavia giovato alla già scomoda – per l’azienda – posizione della Quintavalle: “Ho fatto un errore che ancora oggi non mi viene perdonato – afferma non senza rammarico – All’epoca non ho capito che il segretario nazionale non può esporsi come un semplice cittadino. Quando mi sono esposta l’ho fatto con la voglia di una 36enne che diceva: “questo è il cambiamento, io sto dalla loro parte”.
    Forse loro pensavano che dal momento che li avevo appoggiati così ferocemente in pubblico, se si fossero comportati male avrei taciuto. Come la Cgil ha sempre taciuto quando c’era il Pd e Uil ha sempre taciuto quando c’erano Alemanno e Polverini.
    Invece Quintavalle e i Cambiamenti sono diversi anche in questo. Posso anche appoggiarti, ma se dici un’eresia con le stesse parole con cui l’ha detta Marino io attacco anche te. Perché la priorità rimane il lavoratore e la sicurezza del cittadino. I contratti che hanno firmato i sindacati con i Cinque Stelle per i lavoratori sono talmente peggiorati che fanno spavento. Questo si riversa anche sulla cittadinanza. Ci sono autisti che lavorano troppo, che non hanno modo di avere un adeguato recupero psicofisico, e che sono sottoposti a un metodo coercitivo che non c’è mai stato in un’azienda come Atac, che va sempre di più somigliando ad aziende che portano all’annientamento del proprio personale”. E quando il giornalista di Tpi.it le domanda cosa intenda per metodo coercitivo, in riferimento a cosa, la 38enne risponde facendo riferimento alle cosiddette “black list. In Atac da circa 15 mesi vengono fatte delle black list in base al numero di guasti apre un autista o al modo di utilizzo della legge 104 e dei congedi parentali.
    I colleghi, pur di non entrare nella black list, non denunciano i guasti. Ecco perché poi i mezzi si incendiano: il collega ha pure paura di dire che manca l’acqua nel radiatore o che la temperatura è troppo alta. Se finisci nella black list non ti danno gli straordinari, ti trasferiscono, non ti fanno di cambiare i turni, non ti permettono di organizzarti la tua vita. E il lavoratore preferisce farsi gli affari tuoi. Tanto finché tutto va bene va bene, poi però quando succede un problema…Finora sono stati molto fortunati, il caso più grave è quello di una ragazza in motorino che quando si è aperto un portellone è caduta e le hanno amputato il braccio. Da revisione, un autobus non può fare servizio se non ha i martelletti frangivetro. Io ogni giorno denunciavo la mancanza dei martelletti, ma facevo servizio lo stesso, assumendomi la responsabilità. Quando si è incendiato il 17esimo autobus a via di Carcaricola… lì la strada è stretta. Se non si aprono le porte quelle diventano delle trappole. E loro invece di dire: “accidenti, qui c’è qualcuno che denuncia, vediamo di risolvere il problema”, vanno ad annientare chi denuncia. È come se ci fosse stata una Quintavalle a Genova e avessero licenziato una che col sindacato denunciava quanto stava accadendo. Qui ne stanno colpendo una per ammansire tutti. La cosa più grave è che passi questo messaggio: denunciare è sbagliato. Io sono una lavoratrice irreprensibile -tiene poi a rivendicare – Non ho figli e il licenziamento lo avevo messo in contro dall’inizio. Ora lo impugnerò, perché ci deve essere un giudice che mi dica che ho sbagliato a mettere il codice della strada e il codice penale davanti al codice etico.
    Ecco il metodo coercitivo: ti faccio firmare il codice etico e di fatto ti devi stare zitto.
    Erano cinque anni che facevamo denunce alle istituzioni. L’azienda ci convocava, noi parlavamo, loro prendevano appunti ma non intervenivano mai”. Riguardo alla storia de ‘Le Jene’, Michela confida: “Sono arrivata a rilasciare quell’intervista perché una mamma – e a raccontarlo mi vengono i brividi – il cui figlio stava sulla vettura che si è incendiata a via dell’Infernetto, due ore dopo quella a via del Tritone. Quella mamma mi urlava al telefono e diceva: “Ma come, io non ho comprato il motorino a mio figlio perché ho il terrore delle buche di Roma, e devo avere paura che mi muore bruciato dentro un autobus?”. E allora lì ho detto fermi tutti, perché noi la percezione della paura ce l’abbiamo. E l’azienda invece attacca e annienta chi denuncia. Se non siamo in regime nazista in questo momento non so…Qui si rischiano di annullare cent’anni di lotte e di tornare alla schiavitù e alla repressione”. Eppure, sebbene la sua determinazione (M5s a parte) ha di fatto allertato l’ammirazione – ed i ritorni – di diversi schieramenti politici, che le hanno proposto di candidarsi, lei ha sempre declinato: “Sono cinque anni che ricevo proposte di candidatura da vari partiti. L’ultima volta che il M5s mi hanno proposto la candidatura è stato a marzo, in maniera ufficiosa. Io come sempre ho detto no, vorrei aiutarvi dal basso. Probabilmente anche quello era un modo per tenermi buona, penso oggi. Dopo la sospensione sono stata anche convocata in modo ufficioso in Campidoglio e mi hanno detto: cospargiti il capo di cenere, chiedici scusa, chiedi scusa ad Atac, non denunciarla, chiedi un’aspettativa non retribuita e ti facciamo rientrare a settembre con un’altra mansione. Molti colleghi mi hanno detto che avrebbero accettato. Ma io ho detto no, c’è la giustizia di mezzo. E in questo contesto ho avuto la fortuna di non avere figli, per cui non ho ceduto. Noi all’amministrazione Raggi abbiamo dato un lavoro tecnico di decine di pagine. La gestione sa esattamente cosa dovrebbe fare, è che non è interessata a farlo.
    Tutto ciò che c’è va investito in sicurezza. Fermando l’evasione e aumentando il prezzo dei biglietti si potrebbe investire. Avevamo anche fatto un lavoro sulla periodicità degli autobus. Ma non sono umili – aggiunge ancora la Quintavalle quando le domandano perché dall’amministrazione non siano giunti segnali – Gliel’abbiamo dato quattro volte, e ogni volta mi dicevano: sì, spediscimelo, spediscimelo. Poi cosa dovevano dire? Che l’idea veniva da Cambiamento e da Quintavalle? Vogliono dare il loro imprinting. La verità è che non sono umili e sono incompetenti. Mi sento orfana politicamente. Nasco come donna di sinistra, ma avevo tanto creduto in loro perché a sinistra vedevo il vuoto più totale. Oggi vedo qualche movimento carino, ma no, quest’Italia così non mi piace. Eppure ancora non me ne voglio andare, voglio fare il medico in Italia. Amo il mio paese, ma lo stanno mandando allo scatafascio…”

    COSA PROPONE IL REFERENDUM DELL’11 NOVEMBRE

    Dunque il prossimo l’11 novembre 2018 nella Capitale andrà in scena il referendum consultivo – quindi senza effetti diretti – circa la liberalizzazione del servizio di trasporto pubblico locale. Nel caso in cui dovesse imporsi la maggioranza dei ‘Sì’, a quel punto l’amministrazione comunale sarebbe finalmente ‘costretta’ a dover tenere conto delle esigenze espresse dai cittadini-utenti, che sfocerebbe su una discussione intitolata alla messa a gara del servizio dei trasporti della capitale. Premesso che torneremo sull’argomento, ricordiamo che dalla parte del ‘Sì’ si sono schierati i comitati promotori ‘Mobilitiamo Roma’, dei Radicali Italiani mentre, fra i promotori del No figurano ‘Potere al popolo’, il sindacato Usb, la Cgil e altri comitati.
    Ricordiamo inoltre che per essere valido dovrà superare il quorum del 33 per cento degli aventi diritto al voto. I quesiti del referendum consultivo sono due. Il primo: “Volete voi che Roma Capitale affidi tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia mediante gare pubbliche, anche ad una pluralità di gestori e garantendo forme di concorrenza comparativa, nel rispetto della disciplina vigente a tutela della salvaguardia e della ricollocazione dei lavoratori nella fase di ristrutturazione del servizio?”. Il secondo: “Volete voi che Roma Capitale, fermi restando i servizi relativi al trasporto pubblico locale di superficie e sotterraneo ovvero su gomma e rotaia comunque affidati, favorisca e promuova altresì l’esercizio di trasporti collettivi non di linea in ambito locale a imprese operanti in concorrenza?”. In entrambi i casi, sia se vince il Sì che se vince il No, il risultato della consultazione non ha effetti diretti, trattandosi di un referendum consultivo. Se vincesse il sì comunque l’amministrazione comunale dovrebbe tenere conto delle richieste avanzate dai cittadini per aprire un dibattito sulla messa a gara il servizio dei trasporti della capitale. Roma capitale potrebbe affidare tutti i servizi relativi al trasporto pubblico locale a una pluralità di gestori, in concorrenza tra loro. Tuttavia, in caso di vittoria del Sì, non cambierebbe nulla per il costo del biglietto, dal momento che a vigilarne sarà comunque il Comune. Sono a favore del sì al referendum i comitati promotori “Mobilitiamo Roma”, dei Radicali Italiani. Chi dice no a questo referendum sostiene che vuole conservare l’azienda ‘pubblica’, “anche se poi in realtà di pubblico in Atac è rimasto solo il debito e i continui disagi dei cittadini”, spiega il comitato del sì. Tra i promotori del No ci sono Potere al popolo, il sindacato Usb, la Cgil e altri comitati. “Dietro l’ambiguità del quesito referendario sulla privatizzazione di Atac si cela la volontà di sostituire un monopolio pubblico, patrimonio dei cittadini romani, con un monopolio privato che ha come interesse non quello di migliorare il servizio e la qualità del lavoro, bensì di fare profitti senza redistriburli nella comunità”, afferma la Cgil.

    Max