Brexit, ancora guai per May. Corbyn: indica nuove elezioni

    Ancora problemi per Theresa May sulla Brexit. Il leader laburista Jeremy Corbyn chiederà ufficialmente al primo ministro May di indire subito nuove elezioni, come unica soluzione per risolvere le spaccature della società britannica. “Dopo che l’accordo di May sulla Brexit sarà affondato alla Camera dei Comuni martedì prossimo, solo un nuovo governo avrà l’autorità e la possibilità di trovare un altro accordo con l’Europa “, afferma Corbyn. “La vera divisione nel Regno Unito non è tra i brexiters e gli anti Brexit, ma tra i pochi ricchi e i molti poveri. Solo quando questa frattura sarà rimediata, quella di Brexit sarà guarita”.

    Chiaramente, il partito laburista voterà contro l’accordo di May sulla Brexit la prossima settimana, ma chi si aspetta un nuovo referendum dovrà attendere. “Abbiamo bisogno di elezioni il più presto possibile”, ribadisce Corbyn, “a Theresa posso dire: se sei così convinta del tuo accordo, andiamo alle elezioni e lasciamo che la gente decida”. Ma non sarà in grado di scegliere direttamente su Brexit in un ulteriore referendum, secondo Corbyn, almeno in questo momento; va detto che la tendenza del suo elettorato a preferire l’uscita dall’ UE non sprona il leader a spingere in quella direzione.

    Intanto altre tegole sulla testa della May su Brexit. Mercoledì, un importante emendamento del parlamentare ribelle conservatore Dominic Grieve ha ottenuto la maggioranza in Aula: 308 contro 297 voti (e 17 ribelli Tory). L’emendamento prevede che, se l’accordo May-UE fosse affondato in Parlamento martedì 15 gennaio (come è quasi certo), il governo avrebbe solo 3 giorni per presentare un “piano B” anziché i 21 previsti finora. In caso di una sconfitta martedì, May dovrebbe tornare lunedì con un piano alternativo. In caso contrario, il Parlamento inizierà a discutere e trovare soluzioni alternative da solo. La Camera dei Comuni sta rosicchiando sempre più potere a May, anche alla luce dell’ennesima sconfitta della premier martedì, quando un altro emendamento ha praticamente certificato che in Parlamento c’è è una maggioranza contro il “No Deal” che le impedirà di legiferare in materia fiscale in caso di uscita senza accordo.