I “FIGLI DI”: DAL FIGLIO DI NAPOLITANO,ALLA VICENDA CANCELLIERI E LUPI, PASSANDO PER L’ASSUNZIONE DELLA FIGLIA DELL’ATTUALE MINISTRO PADOAN.

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    Già in passato mi sono trovato ad affrontare il tema dell’illegittimità costituzionale delle assunzioni senza concorso nel pubblico impiego e del fenomeno delle raccomandazioni da un punto di vista prevalentemente giuridico ( http://gianfrancoferrari2013.blogspot.it/2013/07/listituto-storico-della-raccomandazione.html ).Ma forse è venuto il momento di affrontare il problema anche sotto il profilo della cronaca sulla politica italiana per rendersi conto di quanta indifferenza regni oggi su un tema sempre più di attualità. Il primo nome più gettonato dalle cronache è proprio quello di Giulio Napolitano, figlio dell’ex presidente della repubblica dimissionario Giorgio, e docente di diritto amministrativo presso l’Università di Roma 3,come si legge in un noto articolo di stampa de Linkiesta del 5/3/2014: “Gli vengono riconosciute «eccellenti competenze giuridiche», si muove tra regolazione di servizi pubblici, semplificazione amministrativa, enti sportivi e autorità indipendenti. Nel 2007 Roberto Tomei, dirigente Istat che aveva partecipato al concorso di professore associato in Molise con Napolitano, si rivolse al Tar perché sosteneva che la commissione esaminatrice avesse sopravvalutato i titoli presentati dal figlio del presidente della Repubblica. Il Consiglio di Stato gli diede ragione,ma non ci fu nulla da fare. «Mi arrendo a Napolitano junior» disse in un’intervista a Italia Oggi.” (http://www.linkiesta.it/giulio-napolitano ). Nel 2011,dopo i referendum, che avevano espresso a chiara voce la volontà popolare in tema di pubblicità della gestione di questo prezioso bene comune, il nome del figlio di Napolitano, balzava ai clamori delle cronache per il suo parere legale in merito. Su tal punto potrebbe essere interessante un articolo del fatto quotidiano di Andrea Palladino che, fortunatamente, circola ancora on line e intitolato così: “Referendum sull’acqua: volontà popolare imprigionata nei cavilli giuridici dei gestori .Subito dopo l’esito della consultazione popolare del 12 e 13 giugno scorsi, l’Acea ha chiesto rassicurazioni sul mantenimento degli accordi stipulati a Giulio Napolitano, avvocato, esperto del settore e figlio del Presidente della Repubblica. Secondo il parere legale, l’esito dei quesiti non sarebbe sufficiente a intaccare gli interessi delle società idriche.”. Recentemente il nome di Napolitano Junior balza ancora alle cronache per la querelle giornalistica, da alcuni definita un “giallo” sugli omissis relativi alle intercettazioni telefoniche curate dal Noe in una celebre “inchiesta esplorativa” che avrebbe riguardato anche comunicazioni di Renzi e dei suoi più stretti collaboratori. Un interessante articolo a firma di Leandro Del Gaudio del Mattino di Napoli in data 12/7/2015, effettua queste interessanti considerazioni sul caso: “Chi ha tolto l’omissis da una ventina di pagine? È la domanda che si stanno ponendo in almeno tre Procure italiane, vale a dire gli uffici inquirenti che hanno ricevuto in questi mesi il materiale investigativo raccolto dai carabinieri del Noe: quello che riguardava – solo in via incidentale – anche Renzi e i suoi più stretti collaboratori.Inchiesta aperta dalla Procura di Napoli, che punta a verificare i passaggi di mano di carte raccolte originariamente a Napoli e poi travasate per competenza in altri uffici. Inchiesta esplorativa – chiarisce il procuratore Giovanni Colangelo – con l’obiettivo di verificare come è stata possibile la pubblicazione sui giornali di fatti che non hanno pertinenza penale. Parliamo – come è ormai noto – delle intercettazioni in cui l’allora sindaco e segretario Pd Matteo Renzi dava «dell’incapace» all’ex premier Enrico Letta, conversando con il generale Adinolfi (all’epoca, gennaio 2014, target di un’inchiesta condotta dalla Procura di Napoli); o della conversazione tra ufficiali, politici e notabili in cui si fa riferimento al figlio dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, come «potenzialmente tenuto in scacco» da esponenti delle forze dell’ordine.Un caso che rende necessarie verifiche interne, che mantiene alta l’attenzione non solo a Napoli, ma anche a Modena e a Roma, dove in questi mesi sono state trasferite le pagine delle intercettazioni (indirette) del capo del governo. Ma andiamo con ordine, seguendo la prospettiva degli accertamenti disposti dal capo dei pm napoletani. Parliamo dell’inchiesta sulla Concordia, il colosso delle coop finito al centro di due indagini della Procura del Centro direzionale, sia per quanto riguarda il progetto di metanizzazione di Ischia (il caso che ha investito l’ex sindaco Gino Ferrandino), sia per quanto riguarda un analogo intervento nei sette comuni del Casertano (presunti legami con i clan casalesi).Due mesi fa, il Tribunale del Riesame impone il trasferimento degli atti sulla Concordia a Modena, che assume la piena titolarità del fascicolo (salvo il caso Ferrandino e il caso Muro, per quanto riguarda un progetto a Procida). Ma non è tutto. In questi mesi viene interessata anche una terza Procura, quella romana di Giuseppe Pignatone, in relazione al caso della conversazione intercettata tra gli altri di Dario Nardella (per anni braccio destro di Renzi, oggi sindaco di Firenze, non indagato, ndr) e il generale Michele Adinolfi: è la conversazione in cui si parla del potere assunto a Roma da Giulio Napolitano, figlio dell’ex presidente della Repubblica, ma anche della possibilità da parte di alti ufficiali di ottenere nomine importanti grazie alle informazioni raccolte sul figlio dell’allora capo dello Stato (che non è implicato in nessuna delle indagini finora citate, ndr).Intercettazione registrata dal Noe, che da Napoli viene trasmessa a Roma, dove qualche mese dopo verrà archiviata in assenza di ipotesi di reato in grado di giustificare un processo. Facile immaginare comunque una certa sorpresa da parte della Procura di Roma, dopo aver letto la pubblicazione delle conversazioni che riguardavano Giulio Napolitano. Facile immaginare l’avvio di una sorta di istruttoria interna (nelle rispettive Procure) per stabilire come certe notizie siano arrivate sui giornali. C’è una prima ricostruzione, anche alla luce di quanto dichiarato dalla procuratrice reggente di Modena, l’aggiunto Lucia Musti, che ha ammesso che l’informativa su Renzi appartiene alle indagini del suo ufficio. Resta comunque una domanda: come sono stati trasmessi gli atti a Modena? E chi li ha depositati, perché non ha verificato la pertinenza con l’azione penale condotta in Emilia? Ma soprattutto: chi ha tolto l’omissis dalle pagine riguardanti Renzi e Napolitano?”. Speriamo che,prima o poi, gli interessanti interrogativi di Del Gaudio possano trovare una qualche risposta in termini di cronaca,se non a livello istituzionale. Poi viene la storia interessante del figlio dell’ex ministro guardasigilli Annamaria Cancellieri e la questione delle telefonate con i Ligresti da parte di quest’ultima nonchè sul suo interessamento per lo stato di salute della figlia di Salvatore Ligresti, Giulia, all’epoca in carcere. La questione ha avuto un ruolo non indifferente nella perdita di credibilità definitiva e infine nella caduta del governo Letta,anche per il seguito di polemiche che ha creato,nonché per il ruolo che il guardasigilli ricopre in materia di competenze sull’amministrazione penitenziaria,i legami familiari con i Ligresti e il ruolo del figlio Piergiorgio Peluso nel fallimento del 2012 della Immobiliare Imco appunto del gruppo Ligresti. Recentemente la Procura della Repubblica di Milano ha chiuso le indagini proprio nei confronti di Piergiorgio Peluso, figlio dell’allora ministro Cancellieri,che rischia il processo per concorso in bancarotta fraudolenta (http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/12/unicredit-ligresti-figlio-cancellieri-rischia-processo-per-bancarotta/1499633/). Seguono, quasi come un filo rosso, che unisce le vicende dei governi Letta e Renzi, le recenti vicende relative alle dimissioni del ministro Maurizio Lupi in quota Ncd per le polemiche relative a presunte regalie,orologio rolex, e favori tra cui, in particolare, la questione dell’impiego del figlio di quest’ultimo collegate con il ruolo istituzionale ricoperto dal padre (http://www.panorama.it/news/politica/rolex-abiti-viaggi-lista-dei-regali-lupi-parenti/ ). Come riporta esattamente l’articolo di Claudia Daconto in Panorama: “Che sia vero o meno che di quei regali ricevuti per sé, il figlio e la moglie, Maurizio Lupi non avrebbe mai fatto richiesta, il problema è che, per legge, lui, come qualsiasi altro dipendente ministeriale, non avrebbe nemmeno dovuto accettarli. A stabilirlo era stato lui stesso il 9 maggio scorso mettendo la sua firma sotto un decreto che, in attuazione del codice etico diramato da Mario Monti nel 2012, vieta tassativamente a tutti i ministeriali di accettare per sé o per altri “regali, compensi e altre utilità” per un valore superiore a 150 euro. Lupi non è indagato, ma molti di quei regali gli sono stati recapitati da uomini arrestati nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Firenze sulle “grandi opere”. E tra quegli uomini ci sono anche alcuni dei suoi più stretti collaboratori come Ercole Incalza e Franco Cavallo e imprenditori, come Stefano Perotta, che dal ministero diretto da Lupi, hanno ottenuto commesse per decine di milioni di euro.”.Al di là della ricostruzione eventuale o meno di nessi di causalità tra regalie e commesse, ancora tutta da provare nel caso in esame,rimane il fatto altresì che la cosiddetta corruzione susseguente,anche dopo le varie riforme nei reati contro la P.A. è una fattispecie a tutt’oggi vigente. In proposito scrive Roberto Garofoli nella sua “Guida alla giurisprudenza,parte speciale”,Nel Diritto editore,pag.98: “Se ne inferisce che il legislatore della novella ha inteso mantenere l’estraneità della corruzione susseguente”, in cui la regalìa o la dazione ha un ruolo chiave nella pratica a livello probatorio aggiungiamo noi, “all’area della corruzione in atti giudiziari,ferma la ravvisabilità della corruzione ordinaria per un atto d’ufficio o per un atto contrario ai doveri d’ufficio”.In pratica, secondo tale insegnamento, o i giudici sarebbero gli unici a poter accettare regalie,una volta spogliatisi del caso,impostazione o interpretazione che sarebbe inaccettabile perché l’esperienza ci insegna che è proprio in quella fase,invece, che arrivano le regalìe e i favori, sia che vi sia stato il “pactum sceleris”-accordo corruttivo a monte oppure no, ovvero, più verosimilmente, che anche per i magistrati, dopo le varie riforme sui delitti della P.A. ed in particolare dopo la sentenza n°15208 del 21/4/2010 della Cassazione a Sezioni Unite,sarebbero applicabili anche per i magistrati, in questi casi,non le norme specifiche della corruzione in atti giudiziari ex art.319 ter C.P., ma le disposizioni generiche degli artt.318-319 C.P. che vietano appunto implicitamente e derivatamente  l’accettazione di regalie e favori nell’esercizio di pubbliche funzioni o di pubblico servizio a pena quantomeno di esporsi a doverosi accertamenti penali sul nesso di causalità corruttivo quando ve ne siano gli estremi. Ma,infine, arriva, dulcis in fundo, la vicenda della assunzione della figlia dell’attuale ministro dell’economia Padoan alla Cassa depositi e prestiti, da cui, a parere dello scrivente, dopo la vicenda incresciosa delle dimissioni del ministro Lupi, potrebbe anche derivare una caduta del governo Renzi,alla luce delle attuali risultanze della conferma della validità dell’impianto accusatorio a seguito del vaglio del tribunale del riesame di Bari sul ricorso del coindagato del parlamentare Ncd Azzolini, Antonio Battiante,che ha visto confermare l’arresto,delle dimissioni del presidente del Pd della Puglia,Annarita Lemma,conseguenti al voto parlamentare che ha evitato l’arresto di Azzolini stesso (http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/03/caso-azzollini-si-dimette-presidente-pd-puglia-non-e-piu-il-mio-partito-ha-cambiato-pelle/1929911/ ), dell’autosospensione del Senatore Felice Casson dal partito e di tutte le polemiche e voci di apparente dissenso,compresa forse quella di Debora Serracchiani,vicesegretaria del partito, che avrebbe invece votato per l’arresto del Senatore Ncd Azzolini (http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/POLITICA/divina_provvidenza_azzollini_arresto_proteste/notizie/1489753.shtml ). Senza entrare nel merito delle polemiche sul caso De Luca, altrettanto recenti, e della lista pubblicata dalla Presidente della Commissione parlamentare antimafia, Rosi Bindi, alla vigilia dell’ultima tornata elettorale, che ha registrato,di fatto, risultati, che finiscono complessivamente per delegittimare la linea o la tenuta politica del premier. Ad ogni modo,tornando,alla vicenda dell’assunzione della figlia del Ministro Padoan alla Cassa depositi e prestiti,appaiono condivisibili, sia pure a fronte del curriculum di tutto rispetto, alcune riflessioni di ieri del giornalista Salvatore Tramontano,pubblicate nel Giornale.it, e dal titolo suggestivo: “Vale più un rolex o un posto dilavoro?”(http://www.ilgiornale.it/news/politica/vale-pi-rolex-o-lavoro-1158785.htmlutm_source=Facebook&utm_medium=Link&utm_content=Vale%2Bpi%C3%B9%2Bun%2BRolex%2Bo%2Bun%2Blavoro%3F%2B-%2BIlGiornale.it&utm_campaign=Facebook+Page), in cui si abbozza qualche parallelismo con la vicenda Lupi, costata il posto al dicastero al padre. Il caso in esame non appare meno rilevante sotto il profilo del potenziale conflitto di interessi, se si considera, come evidenzia Tramontano che: “L’austero Pier Carlo Padoan si ritrova con la figlia assunta nella cassaforte dello Stato e pazienza se la Cassa depositi e prestiti è controllata dal Tesoro, il dicastero di papà.”. Per di più la procedura di assunzione,diversamente che per il figlio di Napolitano di cui si diceva all’inizio dell’articolo, non appare avvenuta nemmeno con una procedura concorsuale,ma di “job posting” ( http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/05/cassa-depositi-la-figlia-di-padoan-assunta-dal-gruppo-controllato-dal-tesoro/1935926/ ). Orbene,anche se la Cassa Depositi e prestiti formalmente è un ente autonomo a livello amministrativo, finisce per avere il suo peso, a livello sostanziale, la considerazione del ruolo di controllo svolto dalla ex amministrazione del Tesoro attualmente confluita nel dicastero polivalente gestito proprio da Padoan e di come,in casi come questi, sarebbero consigliabili l’astensione o le dimissioni dell’uno o dell’altro, a monte della procedura proprio per evitare polemiche sotto il profilo politico, prima che amministrativo e altro. Non a caso il testo unico degli enti locali avrebbe imposto il divieto di giunte e gestioni parentali e simili,e i relativi obblighi di dimissioni e astensioni, sanzionati anche penalmente ex art.323 C.P.,ecc., se poi dovessimo vederci riproporre certi schemi o fenomeni, a livello di amministrazione centrale e a gradi di livello decisionale in cui le responsabilità politiche e amministrative sono più alte,ragion per cui il livello di rigore e prevenzione corrispondente deve presumersi tanto più alto (sul punto può essere interessante la lettura di “Le incompatibilità familiari nel diritto pubblico a cura di Francesca Bailo,reperibile anche on line: http://www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2013/05/BAILO.pdf ).Le riflessioni di questa giurista sono condivisibili ampiamente laddove parlano di profili di rilievo tutte le volte che il conferimento del munus pubblico o del servizio pubblico possano essere inficiate da elementi di conflitto che vadano o possano incidere sul fine pubblicistico cui la nomina deve corrispondere,ma pare,alla luce anche della ricorrenza di certi fenomeni e polemiche, che proprio l’Agcom e l’Antitrust, cioè le due Authority che dovrebbero svolgere un ruolo di prevenzione in questa materia, prima di eventuali interventi della magistratura penale in funzione repressiva, fino ad oggi non abbiano poi molto “brillato”. Sicchè appaiono legittime le considerazioni di quei tecnici come il sottoscritto che hanno sempre meno fiducia nel ruolo delle cosiddette Authority e che invece sperano in un recupero delle funzioni di controllo originarie proprio nel dibattito democratico, con le opposizioni, in sede parlamentare,compresi i consigli regionali e nel ruolo ovviamente della libera stampa, che è chiamata a porre l’accento su certi fatti e a incentivare il dibattito e le misure repressive della magistratura nei casi più gravi. Il fatto quotidiano, a proposito dell’assunzione della figlia del Ministro Padoan in Cdp, cioè il gruppo pubblico che,tra le altre cose, gestisce il risparmio postale degli italiani ed è controllato proprio dal Tesoro, ed in cui la stessa si occuperà del settore cooperazione e sviluppo internazionale, su cui Cdp ha nuove competenze in seguito all’approvazione della riforma del settore approvata proprio un anno fa. pone l’accento sul fatto che la Cassa depositi e prestiti non sarebbe tenuta al reclutamento concorsuale in quanto la stessa non potrebbe definirsi attualmente “pubblica amministrazione”, mi permetto invece di sollevare qualche perplessità-obiezione proprio su questo argomento,non solo per il ruolo di controllo del tesoro sulla Cassa (la Cdp è finanziata per più dell’80 per cento dal Ministero dell’economia e solo per una percentuale minima,1,5% con azioni proprie),cioè dell’erario pubblico,ma anche per la funzione o servizio pubblico riconnessa all’esercizio del credito pubblico,risparmi postali compresi. La natura pubblicistica di una funzione o di un servizio in Italia è determinata dalla funzione sostanziale che si esercita e non dalla natura formalmente privatistica o pubblicistica dell’ente. Peraltro,al di là dell’integrazione o meno degli estremi di reato nelle singole vicende, deve considerarsi come un principio generale del nostro ordinamento e di buona amministrazione quello consacrato nella norma incriminatrice dell’art.323 del C.P.,abuso d’ufficio, che testualmente recita: “Salvo che il fatto non costituisca un più gravereato, ilpubblico ufficialeo l’incaricato di pubblico servizioche, nello svolgimento delle funzioni o delservizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiustovantaggio patrimoniale  ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione  da uno a quattro anni.La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità.”,in molti casi la mancata astensione è elemento probante fondamentale dell’intenzionalità della condotta. Infine,abbastanza recentemente, con sentenza 51 del 2012, la Corte Costituzionale avrebbe ribadito l’obbligo di reclutamento nel pubblico attraverso idonee procedure concorsuali,al fine di evitare la sistematica elusione dei principi sanciti dagli artt.3,51 e 97,ultimo comma: “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso,salvo i casi stabiliti dalla legge.”.La questione appare interessante anche sotto un altro profilo se si considerano le due sentenze del Tar del Lazio e varie altre pronunce relative alla nullità delle cartelle di pagamento sottoscritte dai dirigenti delle agenzie delle entrate,assunti,durante la gestione Befera, senza concorso, e le problematiche sollevate giuridicamente in sede operativa e pratica, tanto che si può avere la sensazione che la stessa dipartita della gestione Befera non sia affatto avulsa da collegamenti con tale fenomeno di mala gestio a monte, giustamente censurato da alcune forze politiche,oltre che da pronunce giurisdizionali (http://www.beppegrillo.it/movimento/parlamento/2014/02/agenzia-delle-entrate-le-poltrone-di-befera-senza-concorso.htm ) . Quali riflessioni dunque? Non solo che non molto sembra essere mutato,in buona sostanza, dai tempi del governo Letta o dei “conflitti di interesse dei governi Berlusconi (interessante come promemoria,anche se magari non universalmente condivisibile: http://veritaedemocrazia.blogspot.it/p/tutte-le-porcate-di-berlusconi.html ), ma che quest’ultima vicenda,proprio come la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, potrebbe riservarci sorprese e sviluppi inaspettati,magari proprio sul piano politico,prima che sotto altri profili,anche perché appare ridicolo e inaccettabile che chi svolge funzioni amministrative ai più alti vertici,cioè ministeriali, non debba almeno adottare cautele adeguate per salvaguardare la propria immagine,prima che dalle polemiche giornalistiche e simili, anche solo dal larvato sospetto di essere andato a rivestire la carica per salvaguardare o amministrare i propri stretti interessi familistici o per “piazzare il figlio” in qualche posto ambito,piuttosto che per amministrare gli interessi della collettività,esistono infatti le dimissioni come strumento di tutela della propria immagine e soprattutto come strumento di tutela dell’immagine e della reputazione delle pubbliche funzioni quando si profilino anche solo in potenza situazioni di conflitto di interessi o altro che possano compromettere il valore supremo della credibilità-affidamento delle istituzioni.