Il fisco indagherà anche sui conti correnti di genitori e parenti dell’accertato, parola di Cassazione

    Il fisco può indagare anche sui conti correnti dei genitori
    Per la Cassazione, in tema di imposte sui redditi, vige una presunzione di riferibilità delle operazioni riscontrate sul conto corrente dei congiunti all’attività del professionista, salvo prova contraria
    Per l’alta corte, in tema di imposte sui redditi, deve ritenersi legittimo l’accertamento del Fisco fondato su indagini bancarie inerenti i conti correnti dei genitori del contribuente. Per la Cassazione è fondato il motivo di ritenere connessi, e inerenti al reddito del contribuente medesimo, i versamenti dei parenti d’un contribuente attenzionato dal fisco.
    Lo stretto rapporto familiare e la delega del contribuente a operare su tali conti, devono ritenersi motivi sufficienti a giustificare, salva “analitica” prova contraria che spetta al contribuente medesimo fornire, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari dei soggetti vicini all’attività economica del professionista (ovviamente sottoposta a verifica).
    Lo ha detto la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell’ordinanza n. 22089/2018, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate in una controversia relativa a impugnazione di un avviso di accertamento ai fini Iva, Irap ed Irpef emesso a carico di un libero professionista.
    Dalle risultanze di una verifica fiscale condotta nei confronti del contribuente erano emersi maggiori ricavi conseguiti nel periodo d’imposta 2008 sulla base della documentazione extracontabile rinvenuta in sede di accesso e di movimentazioni verificate sia sul conto corrente bancario cointestato al medesimo e alla coniuge, che a quello intestato ai genitori, sul quale questi aveva delega a operare.
    Dopo una prima sentenza, sfavorevole al Fisco, l’Agenzia proponeva appello alla CTR che riconosceva la fondatezza della pretesa fiscale, ma solo relativamente a un limitato importo. In Cassazione, la difesa erariale contesta la decisione della CTR, tra l’altro, nella parte in cui ha escluso la ripresa a tassazione, quali ricavi professionali del contribuente non contabilizzati, delle somme movimentate sul conto corrente intestato ai genitori del medesimo, il quale neppure li aveva in qualche modo giustificati, come era suo onere.
    Per i giudici, in tema di accertamento del reddito d’impresa, l’Ufficio finanziario è autorizzato, ex artt. 32, n. 7, d.P.R. n. 600/1973 e 51 del d.P.R. n. 633/1972, a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente. Al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dall’art. 32 del D.P.R. 600/1973 (in virtù della quale i prelevamenti e i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività d’impresa), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente.
    È necessario, invece, che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (di recente, Cass. n. 4829/2015).
    Secondo la Cassazione la sentenza impugnata non si è attenuta ai suddetti principi escludendo, peraltro immotivatamente, la riferibilità a ricavi conseguiti dal contribuente nell’esercizio della propria attività professionale e non contabilizzati, delle somme rinvenute sul conto corrente intestato ai genitori del medesimo, sul quale costui aveva la delega a operare e che dal medesimo veniva comunque utilizzato per uso professionale, come reso palese dall’espresso riconoscimento effettuato dal contribuente con riferimento a quattro operazioni contabili.
    La Cassazione rammenta che la presunzione di cui all’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600/1973 dettata in materia di imposte sui redditi, omologa a quella stabilita dall’art. 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633/1972 in materia di IVA, rappresenta una presunzione legale “juris tantum” che consente di considerare come ricavo riconducibile all’attività professionale o imprenditoriale del contribuente qualsiasi accredito riscontrato sul conto corrente del medesimo e a quello dei congiunti, in presenza di chiari elementi sintomatici come quelli sussistenti nella specie. Inoltre, tale presunzione comporta l’inversione dell’onere della prova: spetterà al contribuente offrire la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti (e gli addebiti) registrati sui conti non si riferiscono a operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che venga indicato e dimostrato dal contribuente la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti.
    Quindi l’indagato dovrà fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario. Il giudice di merito, invece, sarà tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza e inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie (cfr. Cass. 21800/2017). Ne deriva che il passaggio di soldi tra genitori e figli (ma anche il contrario) è pericoloso farlo tramite assegni e bonifici, il rischio è che queste transazioni (bonarie) finiscano nel tritacarne dell’Agenzia delle Entrate.