L’ISIS FA ANCORA VITTIME: OTTO GLI OLANDESI UCCISI. MA SONO JIHADISTI E DISERTORI

    1-La-bandiera-dellIsisNon si fermano gli spargimenti di sangue da parte dell’ISIS. Stavolta, però, a venir uccisi sono stati esponenti stessi del sedicente Stato Islamico. Una faida interna in cui, lo scorso 26 febbraio presso la città di Ma’adan nella provincia di Raqqa in Siria, hanno perso la vita 8 foreign fighters di origine olandese.

    A renderlo noto è stato Abu Mohammad, membro del gruppo di attivisti “Rbss – Raqqa is Being Slaughtered Silently” ( Raqqa viene massacrata in silenzio) impegnato nel diffondere su internet le condizioni di vita della popolazione da quando IS ha preso il potere. Stando a quanto dichiarato in un articolo pubblicato sul sito www.raqqa-sl.co e successivamente rilasciato su Twitter, gli uomini sarebbero stati uccisi in seguito ai ripetuti scontri e alle tensioni, aumentati esponenzialmente negli ultimi tempi, tra i vertici del Daesh (acronimo che in italiano significa Stato Islamico dell’Iraq e della Siria, appunto ISIS o Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, ISIL) e gli appartenenti al gruppo formato da 75 jihadisti di cittadinanza olandese.

    Come si legge nell’articolo, tre di questi erano stati arrestati con l’accusa di star pianificando la fuga dal campo di Al Furusiya, nei pressi di Raqqa, dove avevano stabilito il loro quartier generale. Uno di questi sarebbe stato ucciso durante la prigionia dall’intelligence dello Stato Islamico. Proprio ciò avrebbe provocato la definitiva rottura che IS ha provato a risolvere inviando al campo un intermediario, indicato come Abu Labib.

    In tutta risposta, sempre secondo Abu Mohammad, sarebbe scoppiato una sparatoria in cui l’intermediario avrebbe perso la vita. L’uomo, il cui ruolo sembra esser stato quello di membro della sicurezza del Califfato, sarebbe stato ucciso dal gruppo europeo per vendetta. Un gioco al massacro conclusosi con la rappresaglia scatenata dai vertici dell’ISIS, i quali, arrivati al campo di Al Furusiya con diversi veicoli, hanno chiuso la zona tentando di fare irruzione. Il tentativo ha avuto successo nonostante lo scontro a fuoco che si è scatenato e che avrebbe causato anche alcuni morti. Quasi tutti i jihadisti sono quindi stati tratti in arresto e condotti nelle prigioni di Ma’adan e Tabqah. L’episodio che probabilmente concluderà la vicenda si sarebbe registrato il 26 febbraio scorso, giorno in cui 8 appartenenti del gruppo, accusati di istigazione contro l’ISIS, sarebbero stati giustiziati e sepolti sulle montagne nell’area di Aljerf.

    Quello che sembrerebbe essere solo la conferma della brutalità, della durezza e dell’uso arbitrario della violenza da parte dello Stato Islamico, in realtà potrebbe nascondere ben altro. Il fatto che, nonostante quanto mostrato da Is nella sua propaganda e nelle sue comunicazioni, la situazione nelle zone da esso controllate non è poi così tranquilla ma ben più critica. O ancora che la struttura messa in piedi dal regime inizia a mostrare le prime crepe, i primi scricchiolii. Non tanto per l’opposizione della coalizione anti ISIS ma perché forse anche al suo interno qualcosa inizia a rompersi. Lo dimostrano le altre 27 esecuzioni sommarie eseguite e i 20 morti sotto tortura resi noti dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani. Segno che la repressione è l’unico metodo per risolvere i primi black-out che la perfetta macchina ISIS inizia a conoscere.

    Luca Crosti