LA MOSTRA DELL’ETA’ DELL’ANGOSCIA AI MUSEI CAPITOLINI

     

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    Sono stato recentemente a visitare la mostra dell’ “Età dell’angoscia” ai Musei Capitolini a Roma e rimango del parere che la visita ai Musei Vaticani e ai Musei Capitolini rimangano le due tappe turistiche obbligate per chi viene a visitare la Capitale. Mi permetto di ricordare che il Ministero dei beni culturali ha stabilito l’ingresso gratuito a tutti i musei e alle aree archeologiche per la prima domenica di ogni mese in un’ottica di rilancio del turismo e di valorizzazione del patrimonio culturale italiano. In particolare per i Musei Capitolini l’accesso gratuito nella prima domenica di ogni mese è garantito, non solo ai cittadini di Roma, ma anche ai residenti in tutta l’area della città metropolitana, nonchè per motivi di studio e ricerca,agli interpreti e guide turistiche U.E.,a gruppi e comitive di studenti accompagnati da insegnanti, a chi abbia reddito annuo inferiore a 15.000,00 euro,previa esibizione del certificato Isee,ecc. Anche se molti servizi giornalistici si sono soffermati ultimamente sui problemi amministrativi della città di Roma, appare innegabile che,almeno la gestione dei beni culturali stia dando segnali incoraggianti e questo è fondamentale in una città con un patrimonio archeologico e storico-culturale senza rivali ed ancor più nel periodo estivo con l’afflusso dei turisti dall’estero. Mi permetto di segnalare che la mostra sulla cosiddettà “età dell’angoscia”, che comprende i reperti archeologici dal 180 al 305 d.c., cioè dagli imperatori Commodo, l’ultimo degli Antonini, fino a Diocleziano,che concepisce la riforma dell’Impero con la tetrarchia,gettando le basi di quella che più tardi diverrà una vera e propria separazione storica dei percorsi tra Impero romano d’oriente e d’occidente, durerà fino al 4 Ottobre prossimo ed è un evento da non perdere che ha registrato l’interesse di molti studiosi e cultori stranieri (Deutsches archeologischer Institut) oltre che italiani. Si tratta di un’età molto particolare in cui,oltre ai rilevanti cambiamenti istituzionali, entra in crisi la stessa identità e il senso del vivere dell’uomo romano. Oltre alla penetrazione di culti misterici, paragonabili al fenomeno attuale del proliferare delle sette religiose, si colgono profonde corrispondenze e parallelismi di fenomeni psicosociali rispetto alla nostra epoca: le certezze,a partire proprio da quelle istituzionali e culturali dell’uomo romano, cominciano a vacillare. L’angoscia è determinata prevalentemente dall’incertezza del futuro e dalla percezione che i barbari siano un fenomeno alle porte dell’impero sempre più incognito e sempre meno controllabile. Scriverà lo storico inglese Edward Gibbon nel suo celebre “Declino e caduta dell’Impero romano”, che è difficile immaginare e fronteggiare fenomeni più tristi e degradanti, in termini di perdita di identità e civiltà, delle migrazioni di massa. La vicenda di Gallieno,sotto questo profilo, appare esemplare, tra scorrerie e tentativi di arginamento di Goti e Sassanidi e con una gestione sempre più dispotica della carica imperiale che finisce per perdere ogni tratto di umanità e razionalità a scapito di ogni certezza per i sudditi. Si viaggia velocemente verso il dominato e l’imbarbarimento del diritto,e il tratto prevalente, tra minacce interne ed esterne, è il senso di precarietà. Nel periodo della cosiddetta anarchia militare nel terzo secolo furono addirittura le legioni e soprattutto la Guardia pretoriana a decidere,in rapida successione, tra congiure e tumulti, le figure imperiali, fino ad arrivare a mettere all’asta la massima carica al miglior offerente. L’apparato militare,l’autoritarismo fine a se stesso e il sopruso prendono il sopravvento sulle cariche e le funzioni civili all’inverso del principio di civiltà che Marco Tullio Cicerone aveva enucleato nei suoi scritti in età repubblicana: “Cedant arma togae!”,cioè la preminenza del potere e delle istituzioni civili su quelle militari. Come scrive Paul Veyne nel suo “Impero greco-romano”, che individua proprio nella fase imperiale romana le origini storiche del cosiddetto fenomeno della globalizzazione, le sculture romane, in particolare a partire dall’età dei Severi,non mostrano più volti sereni o sorridenti (perfino gli Etruschi con la loro concezione pessimistica dell’al di là ci hanno lasciato sculture sorridenti) ,ma prevalgono la preoccupazione e l’ansia del vivere, i muscoli spesso serrati e contratti,come in una continua tensione. Da ultimo lo storico individua in alcune pitture e sarcofaghi tratti spersonalizzanti e sempre più indefiniti,ai limiti con l’umanità decifrabilità delle figure, tratti che infrangono i canoni dell’arte classica e anticipano di secoli l’arte contemporanea! I cittadini,gli intellettuali e soprattutto gli artisti dell’impero cominciavano a comprendere che la grande parabola imperiale volgeva al tramonto e che da un impero in cui due lingue, il latino soprattutto e il greco,fungevano da tratti unificanti, stavano per svilupparsi lingue e dialetti locali, identità culturali nazionali che avrebbero frammentato culturalmente la concezione del mondo,riducendo appunto la condizione antropologica globale da quella di cittadini dell’Impero, cui Caracalla nel 212 d.c., con la sua Constitutio antoniniana de civitate,aveva esteso la cittadinanza romana a tutti i provinciali,come oggi se ne discute per gli immigrati,secondo il principio dello ius soli,a quella di sudditi di singoli regni romano-barbarici o staterelli. Una condizione che lo stesso Veyne non esita ad accostare a quella di “ritagli o frammenti umani” rispetto alla concezione globale più vasta dell’uomo greco-romano dell’età classica. Si tratta quindi di una mostra da non perdere per chi vuole confrontarsi con i problemi del nostro stesso tempo dalle migrazioni di massa,al senso di precarietà, dalla profonda e irreversibile crisi istituzionale ad un futuro cui si guarda sempre più con angoscia che con speranza.

    Avv.Gianfranco Ferrari