N’drangheta al Nord: arrestato padre dell’ex calciatore Iaquinta

    In questi giorni a Reggio Emilia si sta tenendo un importante processo contro le infiltrazioni ndranghetiste in Emilia Romagna, che sta mettendo in luce un problema forse da tempo ignorato, ovvero la presenza della mafia al Nord. La N’drangheta si era insediata quasi in punta di piedi nei grandi affari in quella zona, tra cui anche la ricostruzione delle zone colpite dal terremoto di nove anni fa. Tra i colpevoli è stato condannato per associazione mafiosa, Giuseppe Iaquinta, padre del calciatore campione del Mondo Vincenzo, su cui grava anche su di lui un’accusa di detenzione illegali di armi. I carabinieri sono andati a prendere Giuseppe nella sua casa di Reggiolo intorno alle dieci di due sere fa. Per lui, le porte della galera si sono spalancate poche ore dopo che i giudici hanno espresso il loro verdetto sul caso “Aemilia”. La pena che il tribunale di Reggio Emilia ha dato ad Iaquinta padre è la reclusione per 19 anni per associazione a delinquere di stampo mafioso. Il suo celebre figlio, Vincenzo, non gli è stato riservato lo stesso trattamento, visto che la condanna a 2 anni per reati inerenti il possesso illegittimo di armi include la sospensione della pena. Ad ogni modo, per l’ex attaccante di Juve ed Udinese è una ferita insanabile, dato il forte legame che ha con il padre, tanto da essere “ una cosa sola”, secondo l’opinione dei conoscenti. Giuseppe Iaquinta, secondo l’inchiesta della Dda di Bologna riconosciute dai giudici dell’aula bunker di Reggio Emilia, faceva parte del clan calabrese dei cutresi, il cui capo era il boss Nicolino Grande Aracri. “Un affiliato puro”, trasferitosi nella bassa reggiana, che da tantissimi anni intratteneva rapporti con le teste della cosca ndranghetista. Giuseppe e la cosca erano legati da “solidi legami di amicizia” e da “comuni interessi negli affari”. Il cutrese aveva innalzato su un impero che lui stesso ha definito “da miliardario”. Gli affari riguardavano appalti nel pubblico ed investimenti immobiliari, speculazioni nel settore del mattone e nella gestione di terreni. Giuseppe Iaquinta era uno dei più famosi imprenditori del Reggiano e non solo a causa della notorietà del figlio calciatore. Anche il padre aveva raggiunto la celebrità, solo che lo aveva fatto da mafioso legato ad altri suoi simili. Così ha emesso l’inchiesta e la sentenza. I suoi problemi con la giustizia sono cominciati già prima che scoppia “Aemilia”. Nel 2012 infatti (gli arresti sono di 3 anni dopo), l’impresa familiare, la “Iaquinta costruzioni”, aveva ricevuto un’interdittiva antimafia. Un provvedimento con cui la prefettura aveva tolto di mezzo l’imprenditore da tutti i lavori pubblici e da quelli inerenti il post-terremoto emiliano dello stesso periodo. La nomea di azienda “pulita” gli venne tolta per la frequentazione di Giuseppe con boss e picciotti dei clan. Lo avevano fermato con loro in macchina, lo avevano visto durante le cene (ci sono immagini che lo vedono insieme al figlio Vincenzo e il boss Grande Aracri), nei bar. Secondo i magistrati la sua era un’azienda “in odore di mafia”. Gli affari iniziano così ad arrestarsi e allo stesso tempo Vincenzo commette la fatalità che gli costerà la condanna a due anni: a Giuseppe viene vietato il possesso di armi e ritirato il porto, mentre il figlio acquista lo stesso due pistole e, invece che metterle al sicuro in casa , le affida alle mani del padre. E’ un reato. Ma soprattutto è una consuetudine molto diffusa tra i mafiosi quella di possedere armi clandestine o intestate ad altri quando sono inabilitati ad averne. Il fatto viene a galla con le perquisizioni di “Aemilia”, il padre finisce accusato di associazione mafiosa e il figlio di reati in materia di armi.