Sergio Leone. La Francia rende omaggio all’autore degli ‘spaghetti western’

    Per quattro mesi, da ottobre fino a gennaio, Parigi sarà la casa di Sergio Leone. La cineteca di Bologna, insieme alla Cinémathéque Française, dedicheranno una mostra al fondatore degli ‘spaghetti western’.  L’allestimento esporrà una retrospettiva inerenti i sette film girati dal regista romano dal 1961 all’1984. L’omaggio a Leone non è solamente per i suoi film, ma per la sua abilità di unire l’arte al cinema, facendo ricorso ad un genere popolare come il western. L’attribuzione di  ’spaghetti’  a questo particolare genere cinematografico, suona male per un autore riconosciuto a livello mondiale. Chi, negli anni 60 e 70, andava a vedere un western di Leone voleva duelli al sole, pistole e pistoleri, Clint Eastwood con o senza cappello, scazzottate nei saloon, polvere e sangue. Allo spettatore (non cinefilo), in quegli anni, non veniva in mente che la luce dei duelli potesse essere quella metafisica delle piazze vuote di De Chirico, o che Per un pugno di dollari (1964) fosse ricalcato, quasi inquadratura dopo inquadratura, da Yojimbo (La sfida del samurai, 1961) di Kurosawa. “Leone perse la causa per plagio intentatagli dai produttori giapponesi”, dice Gianluca Farinetti, direttore magnifico della Cineteca di Bologna, “e alla fine mandò loro a dire che Kurosawa aveva a sua volta copiato da Goldoni, da Arlecchino servitore di due padroni, il quale non avrebbe potuto fargli causa”. Da alcuni mesi Gianluca Farinetti fa avanti e indietro con Parigi. È infatti commissario della bella esposizione che, da mercoledì 10 ottobre, la Cinémathéque Française dedica al regista italiano. Riprendendo due dei suoi film, la mostra si intitola Il était une fois Sergio Leone, C’era una volta Sergio Leone. “Il cinema di oggi gli è debitore”, dice Farinelli. “Da Coppola a Scorsese, da Ang Lee a Tarantino, passando per John Woo, per non parlare di Eastwood, i cineasti contemporanei fanno i conti con Leone. Da The Sister Brothers di Audiard in sala in questo momento fino a Tarantino, che quando vuole quel primo piano lì dice al suo cameraman: ’Dammi un Sergio Leone’. Negli anni 60 ha reinventanto il western, genere a cui nessuno pensava più. È un cineasta di una complessità enorme. Nel suo cinema convivono tanti aspetti diversi. La sospensione del tempo, per esempio. Leone fa quasi un cinema muto, è la musica che parla”.Nella mostra parigina c’è la musica di Ennio Morricone, e c’è il cinema muto. Quello fondatore, ispiratore, di Charlie Chaplin ma anche quello di suo padre e sua madre: il regista Roberto Roberti (vero nome Vincenzo Leone) e l’attrice Bice Waleran (Edvige Valcarenghi). Leone nasce nel cinema; tra il ’47 – quando ha 18 anni – e il ’61 – quando gira Il colosso di Rodi, suo primo film – è assistente di Gallone, Bonnard, Camerini, Soldati, di suo padre, di Comencini, di Steno, di De Sica. In Ladri di biciclette fa una piccola parte, un seminarista con gli occhiali, sotto la pioggia. La sequenza scorre su uno schermo nella prima delle cinque sezioni della mostra: Cittadino del cinema. Le altre sono: Le fonti dell’immaginario, con il cinema e la pittura che lo hanno ispirato (non è, la bambina Deborah-Jennifer Connely che danza nel ricordo di Noodles-De Niro, vestita come le ballerine di Degas?); Laboratorio Leone, sezione geniale con tutti i protagonisti dei suoi cinque western prima e dopo la ’cura Leone’ – “Erano personaggi quasi pasoliniani”, dice Farinelli, “erano veri, sporchi, quando John Wayne sembrava sempre appena uscito dalla doccia” – , da Lee Van Cleef a Clint Eastwood, a Gian Maria Volonté, a Bronson, a Rod Steiger, a Klaus Kinski fino a Claudia Cardinale, regina di ‘C’era una volta il West; ‘C’era una volta in America’ ha una sezione a parte con i costumi di Gabriella Pescucci e una sequenza ritrovata – Deborah-Elizabeth McGovern che recita Cleopatra nella tragedia di Shakespeare – dopo il restauro di sei anni fa ad opera della Cineteca di Bologna e dei tre figli di Leone. L’ultima sezione è dedicata al film mai fatto, quello sui novecento giorni dell’assedio tedesco a Leningrado che Sergio Leone avrebbe girato se, nel 1989, un infarto non se lo fosse portato via. In una teca c’è un trattamento firmato da Leone, Benvenuti, De Bernardi e Medioli: gli stessi sceneggiatori di C’era una volta in America. La mostra parigina si apre con il telefono che suona a vuoto, sogno o incubo ricorrente di Noodle-De Niro, e si chiude con un grande, bel ritratto del regista dipinto da Francesca, la sua figlia pittrice.