FINO A GIOVEDÌ COL FIATO SOSPESO CIRCA UN POTENZIALE FLOP SULL’AUMENTO DI CAPITALE DI MPS. ALL’ORIZZONTE SI PROFILA IL SALVATAGGIO PUBBLICO

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    “Nessuno può dirlo, ovviamente. Altrimenti, non avrebbe neanche senso provarci”. Nessuno osa dirlo ma, la conversione dei bond subordinati e l’aumento di capitale, operazione di mercato lanciata da Mps, possa parzialmente fallire “è tenuto nella giusta considerazione sia all’interno della banca sia a Palazzo Chigi e al Tesoro”. Come spiega l’Adnkronos, che ha avuto modo di parlarne con fonti interne allo storico istituto, i prossimi quattro giorni saranno decisivi per capire se il salvataggio della banca di Rocca Salimbeni possa passare solo per la soluzione privata o se, al contrario, sia indispensabile aprire l’ombrello pubblico. Ciò che infatti al momento rappresenta le incognite relative a quest’operazione, riguardano sia il numero di obbligazionisti che effettivamente decideranno di convertire i loro bond in azioni, sia l’effettiva disponibilità di investitori a sottoscrivere l’aumento di capitale. Le due operazioni sono per altro strettamente legate tra loro. E le scadenze, si fa notare, sono state studiate per garantire “uno sviluppo ordinato dell’intera operazione”: alle 14 del 21 dicembre il termine per la conversione dei bond; stessa dead line per la parte di aumento dedicato ad azionisti (30%) e pubblico indistinto (5%); alle 14 del 22 dicembre lo stop all’aumento per gli istituzionali. E a tal proposito, le riunioni del cda, lunedì a Milano e venerdì a Siena, sono calendarizzate prima per seguire l’avvio del piano e poi, evidentemente, per prendere atto dell’esito dell’intera operazione e prendere le decisioni conseguenti. Se “come sembra ancora probabile”, sostengono le fonti interpellate, dal mercato non dovesse arrivare una risposta piena, sarebbe l’intervento pubblico a garantire, comunque, la ricapitalizzazione necessaria. La soluzione individuata, ovviamente valida per tutte le banche e non solo per Mps, prevederebbe un fondo da 15 miliardi per sostenere gli aumenti di capitale, mentre altri 80 miliardi sotto forma di garanzie sarebbero pronti per fronteggiare crisi di liquidità e assicurare i conseguenti interventi sul mercato. Nel caso del Monte, le risorse stanziate servirebbero al Tesoro per coprire la quota di ricapitalizzazione necessaria, sensibilmente più consistente rispetto a quanto prevede la sua quota del 4%. La direttiva europea sul sistema bancario consente allo Stato un intervento “cautelativo”, “temporaneo” e “proporzionato” con un intervento diretto o l’”acquisto di strumenti di capitale”. In caso di fallimento o di rinuncia alla ricapitalizzazione, le procedure previste dal ’burden sharing’ comportano la conversione obbligatoria dei bond subordinati in azioni sia per gli investitori istituzionali che per i risparmiatori retail. E il Tesoro potrebbe intervenire successivamente per rimborsare la clientela retail.