Allarme batteri in Europa: provocano ogni anno 33mila morti

    Molto spesso, forse troppo spesso, si tende a sottovalutare la pericolosità dei batteri. Una recente ricerca scientifica ha però ora evidenziato la portata dei danni causati ogni anno da questi piccoli esseri viventi, colpevoli della morte di circa 33.000 persone. Molti di essi, infatti, sarebbero resistenti agli antibiotici provocando infezioni mortali. Il dato allamante è che un terzo di queste morti avviene proprio in Italia. Un ’peso’ paragonabile a quello di influenza, tubercolosi e Hiv/Aids messi insieme. L’allarme è statl lanciato dal nuovo studio dell’European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc) pubblicato su ’The Lancet Infectious Diseases’, che stima l’onere di 5 diversi tipi di infezioni causate da ’super batteri killer’ nell’Unione europea e nello Spazio economico europeo (per un totale di 670.000 casi), basandosi sui dati della rete di sorveglianza antimicrobica europea (Ears-Net) del 2015.

    Il prezzo mortale di queste malattie viene pagato più spesso dai bambini di meno di un anno di età e dagli anziani ’over 65’ e il loro peso è più alto, emerge dallo studio, in Italia e in Grecia. Nel nostro Paese sono infatti 10.762 le morti per questa causa (su oltre 200.000 casi) che si registrano ogni anno, dunque ben un terzo del totale. In Grecia molte meno: 1.626 su circa 18.500 casi. Lo studio stima che, a livello generale, il 75% delle infezioni è associato all’ambiente sanitario e che il 39% è causato da infezioni batteriche resistenti ad antibiotici di ultima generazione come carbapenemi e colistina. E quando questi medicinali non sono più efficaci, è estremamente difficile o in molti casi impossibile curare le infezioni.

    Gli autori affermano che “il carico stimato di infezioni da batteri resistenti agli antibiotici è sostanziale rispetto a quello di altre malattie infettive, e risulta sempre in aumento dal 2007. Le strategie per prevenire e controllare il fenomeno richiedono un coordinamento a livello europeo e globale. Tuttavia, il nostro studio ha dimostrato chela situazione varia notevolmente da un Paese all’altro, evidenziando così la necessità di strategie di prevenzione e controllo adeguate alle esigenze di ciascuno Stato”.