Addio De Rossi, cronaca di un tracollo annunciato

    Attorno alla decisione da parte della Roma di porre fine al rapporto con Daniele De Rossi si respira l’aria pesante di una gestione che, se non errata, appare quantomeno discutibile e controversa. Sono molti gli errori che un’azienda come la Roma, quale piace definirla agli attuali dirigenti chiamati a amministrare il club di casa a Trigoria, si può permettere di commettere perché, magari, non si può permettere certi ‘lussi’ come ad esempio potrebbe sembrare sulle prime il possibile rinnovo di Daniele De Rossi. Un calciatore di 36 anni, reduce da diversi infortuni, arrivato alla scadenza naturale del contratto si può salutare, ci mancherebbe. Ogni società ha il diritto di scegliere cosa ritiene sia meglio per il proprio futuro, e nella Roma si può aver ipotizzato che la chiusura del ciclo tra il club e la versione ‘calcistica’ di De Rossi fosse l’opzione al momento più ragionevole. 

    Addio De Rossi, cronaca di un tracollo annunciato. La gestione controversa della fine del rapporto

    Ma se ognuno si prende la responsabilità delle proprie scelte e, chiamato a compierle, si riconosce anche il diritto di assumerle, parimenti è ragionevole pensare possa anche accettare di sottomettersi alla enorme ondata di critiche da cui la Roma è stata affondata in queste ore immediatamente successive all’annuncio in questione. Ciò che appare discutibile è la modalità con cui è stata esternata. La Roma, come tutti i grandi club legati da una passionalità sconfinata, non è un bene materiale o intangibile, e in ogni caso fluttuante come il capitale impercettibile degli investimenti che gli esperti dei hedge fund come il patron della Roma Pallotta conoscono a menadito. La Roma è impercettibile, certo, come la passione dei tifosi stessa in quanto tale, dal momento che la si può vedere e toccare, abbracciando un calciatore amato o ammirandolo in Tv, ma al contempo viverne i sentimenti toccando corde che vanno al di là di ciò che appare ragionevole come la freddezza dei numeri, del ponderabile, del matematicamente certo. Si può non contestare la scelta di voler chiuderla qui, a livello contrattuale: ma appare evidente come siano le modalità attraverso cui questo è avvenuto. Non un colloquio tra le parti per mesi, fino alla fredda comunicazione con cui è arrivata prima al calciatore stesso, e poi ai tifosi. Un gelido messaggio, poi una conferenza organizzata con tutta la squadra in maglietta giallorossa, e l’otto capovolto, metà del sedici di De Rossi, e simbolo dell’infinito, come l’amore tra De Rossi e la Roma. Un De Rossi a cui la Roma propone di fare il dirigente sapendo come lui non voglia farlo, vedendosi semmai come allenatore ma, ecco, tra qualche anno, e dopo aver studiato e comunque non da parafulmine. Un De Rossi che ammette: “fossi un dirigente, rinnoverei il contratto a un calciatore come me”, sancendo la profonda distanza tra il suo modo di vederla e quello della società. Uno che dichiara di augurarsi di ‘parlare col Presidente e con Baldini’, prima o poi, della questione, e di sperare che Totti possa realmente ‘incidere’ nelle scelte, non come avviene adesso. Tutto questo non può non sancire la ruvidezza di un tracollo annunciato: quello a cui la Roma, chissà perché, si è auto esposta, e in uno dei momenti peggiori della sua recente storia. Forse perchè la fretta di chiudere con De Rossi anticipava la correttezza dei gesti, piccoli e grandi che siano, con cui si può liquidare, se proprio si deve, un campione. Bastava parlarci, mesi fa: organizzarsi per tempo, per arrivarci preparati, e armati e non nudi alla meta, esponendosi a critiche anche fin troppo spietate. Dopo Totti, un’altra bandiera ammainata con modalità controverse, tra lacrime e incredulità.