Damien Chazelle passa ’dal musical alla luna ’

    Damien Chazelle è tra i più giovani cine-autori che si sia aggiudicato l’Oscar, il prestigioso premio che l’Academy della cinematografia statunitense assegna ogni anno. Chazelle ha fatto strage di premi durante una delle serate più folli che l’Academy ricordi, con il suo terzo film che ha stregato il mondo, aggiudicandosi sei statuette e un numero infinito di altri riconoscimenti. Ma nonostante tutto il regista non sembra proprio che si sia montato lla testa. Damien Chazelle torna sul grande schermo a due anni di distanza dal musical La La Land con un film completamente diverso, ’First man’, nei cinema dal 30 ottobre, dedicato all’impresa di Neil Armstrong, il primo uomo sulla luna. “Volevo in modo veramente consapevole fare qualche cosa di diverso, il più diverso possibile sia dal punto di vista dello stile, dell’aspetto del film ma anche delle sensazioni – dice – Ciò nonostante ho lavorato con le stesse persone, prima fra tutti il protagonista Ryan Gosling e poi molti della troupe”. Quindi Chazelle non cambia gli interpreti che gli hanno procurato immense fortune, ma a mutare è tutto il resto perché non c’è nulla di più estraneo da un musical in Technicolor, profondamente romantico e folle del racconto della solitudine di un uomo che, dopo la perdita della figlia più piccola, si dedica in tutto e per tutto ad un progetto senza nessuna rete di protezione. Eppure nonostante siano due film completamente differenti tra di loro, per Chazelle hanno un punto in comune: “Come era stato per La La Land, quello che mi interessava di questa storia era esplorare l’idea di quanto possa costare la realizzazione di un sogno, come possa cambiare una persona il fatto di raggiungere il proprio obiettivo nel bene e nel male. Dal punto di vista storico non c’è nessun traguardo più famoso dell’allunaggio, è stato un tale risultato da diventare mitologico ma io col mio film volevo cercare di tirare via il mito e raccontare una storia dal punto di vista strettamente umano, radicato a terra. La scelta stilistica quasi da documentario viene da lì, per darti la sensazione di essere con Neil ad ogni tappa del processo”. E in ciò il regista premio Oscar è stato netto: lo spettatore si immerge totalmente nel mondo di Armstrong, è chiuso in quel claustrofobico abitacolo, sente (senza ricorrere al 3D e nemmeno alla realtà virtuale) il timore di essere rinchiuso in quelle “lattine” pensate per spedire l’uomo nello spazio. Il film narra dei sacrifici estremi di questi uomini con cruda realtà, il tono è anti retorico, il pubblico sperimenta il viaggio con i piloti sentendo sulla loro pelle la stessa claustrofobia, il loro senso di straniamento. “Amo i film che utilizzano il linguaggio cinematografico in modo massimalista, così almeno è dove io mi sento più a mio agio – espiega Chazelle – In questo film si è trattato come di avere una tela enorme sulla quale dipingere la missione che Neil e i suoi compagni hanno affrontato andando sulla luna. C’è una varietà di strumenti che puoi utilizzare per farlo, è stato come avere una scatola di attrezzi con la quale sperimentare”.