RAPPORTO CHOC DI OXFAM: I RICCHI SONO SEMPRE PIU’ RICCHI ED I POVERI SEMPRE PIU’ POVERI

    Forse per molti è soltanto un modo di dire, soprattutto per sottolineare in negativo una tendenza in generale economicamente disastrosa. In realtà le cose stanno proprio così, come illustra il nuovo rapporto di Oxfam dal titolo ’Ricompensare il lavoro, non la ricchezza’), diffuso in occasione del meeting annuale del Forum economico mondiale di Davos: i ricchi sono sempre più ricchi, ed i poveri sempre più poveri. Lo testimonia un calcolo relativo al periodo compreso tra il marzo del 2016 e quello del 2017 quando, all’1% più ricco della popolazione globale è andato l’82% dell’incremento di ricchezza netta registrato mentre, ai 3,7 miliardi di persone di cui si compone la metà più povera del mondo, non è arrivato nemmeno un centesimo. Sempre nello stesso periodo registrato, il numero dei miliardari ha subito un’impennata pazzesca, aumentando di 1 ogni 2 giorni. Su scala globale. Ad esempio, tra il 2006 e il 2015, il numero dei ’paperoni’ nel mondo, è cresciuto del 13% all’anno, quindi 6 volte più in fretta rispetto all’incremento annuo salariale (pari al 2%), relativo che a un lavoratore medio. La ’beffa’ poi è data dal fatto che, almeno due terzi della ricchezza dei miliardari nel mondo, non è frutto di affari o lavoro ma, conseguente a rendite monopolistiche, dunque il risultato di rapporti clientelari. Come spiega il focus, “il sistema economico attuale consenta solo a una ristretta élite di accumulare enormi fortune, mentre centinaia di milioni di persone lottano per la sopravvivenza con salari da fame”. Oltretutto, “Il costante incremento dei profitti di azionisti e top manager – spiega il riapporto rispetto all’tuale sistema economico – corrisponde a un peggioramento altrettanto costante dei salari e delle condizioni dei lavoratori”. Dal canto loro, gli esperti analisti della confederazione internazionale che racchiude tutte le organizzazioni non profit, individuano tra alcuni dei motivi principali di questo paradosso, “la forsennata corsa alla riduzione del costo del lavoro che porta all’erosione delle retribuzioni, e la colpevole negligenza verso i diritti dei lavoratori e la drastica limitazione del loro potere di contrattazione nel mercato globale”. Pesano anche i “processi di esternalizzazione lungo le filiere globali di produzione; la massimizzazione ’ad ogni costo’ degli utili d’impresa a vantaggio di emolumenti e incentivi concessi ai top-manager; la forte influenza esercitata da portatori di interessi privati, capace di condizionare le politiche”. Purtoppo, per forza di cose, anche se con percentuali ovviamente minori, questo è un fenomeno che tocca da vicino anche il nostro Paese. Dati all amano infatti, già a fine del primo semestre dell’anno appena passato, il 20% più ricco degli italiani deteneva oltre il 66% della ricchezza nazionale netta. Quindi il successivo 20% ne controllava il 18,8%, con il 60% del più povero costretto ad ’accontentarsi’ di un misero 14,8% della ricchezza nazionale. In proporzione, spiega ancora il focus, la ’fetta’ di ricchezza dell’1% più ricco dei nostri conazionali, superava di ben 240 volte quella totale, tra le mani del 20% più povero della popolazione. C’è inoltre da spiegare che, nel 2016, su 28 paesi Ue l’Italia, per la disuguaglianza di reddito disponibile, si trovava al ventesimo posto. Come evidenzia in merito il presidente di Oxfam Italia, Maurizia Iachino, “Un nuovo miliardario ogni 2 giorni non è sintomo di un’economia fiorente, se a pagarne il prezzo sono le fasce più povere e vulnerabili dell’umanità. L’attuale sistema economico – spiega ancora la Iachino – crea miseri e disuguali, offrendo lavori rischiosi, sotto-retribuiti e precari e abusando sistematicamente dei diritti di chi lavora. Basti pensare che oggi il 94% degli occupati nei processi produttivi delle maggiori 50 compagnie del mondo è costituito da persone ’invisibili’ impiegate in lavori ad alta vulnerabilità senza adeguata protezione. Le persone che confezionano i nostri abiti, assemblano i nostri cellulari, coltivano il cibo che mangiamo vengono sfruttate per assicurare la produzione costante di un gran volume di merci a poco prezzo e aumentare i profitti delle corporation e degli investitori. Fino a quando per il sistema economico globale la remunerazione della ricchezza di pochi rimarrà un obiettivo predominante rispetto alla garanzia di un lavoro dignitoso per tutti – ossserva avverte il presidente di Oxfam Italia – non sarà possibile arrestare la crescita di questa estrema e ingiusta disuguaglianza”. Ma non è tutto, rivela ancora il rappoto Oxfam: “Negli ultimi gradini della piramide sociale troviamo spesso le lavoratrici: in tutto il mondo guadagnano meno degli uomini. Le lavoratrici, operano frequentemente in ambiti sottopagati e privi di sicurezza per chi lavora”. Un settore, anche questo, articolato da forti disparità tra i cosiddetti ’top manager’ ed i lavoratori, che toccato livelli preoccupanti: in soli 4 giorni infatti, l’Ad di uno dei cinque maggiori marchi della moda guadagna quello che una semplice lavoratrice della filiera dell’abbigliamento in Bangladesh guadagna addirittura nell’arco di una vita un’intera. Una condizione disagevole quella in cui versano le donne lavoratrici nel mondo, come illustra il presidente di Oxfam Italia: “In ogni parte del mondo abbiamo raccolto testimonianze di donne schiacciate dall’ingiustizia della disuguaglianza. In Vietnam le lavoratrici del settore dell’abbigliamento non vedono i loro figli per mesi, perché non possono tornare a casa per colpa delle lunghissime giornate lavorative e delle paghe da fame che percepiscono”. Ma attenzione, ’tutto il mondo è paese’, anche nei cosiddetti paesi civili la situazione non è certo mgiliore rispetto a quelli più indigenti: “negli Stati Uniti – rivela infatti la Iachino – abbiamo scoperto che alle lavoratrici dell’industria del pollame non era consentito di andare in bagno ed era imposto di indossare i pannolini. Sia in Canada sia in Repubblica Dominicana, molte donne di servizio nel settore alberghiero di lusso ci hanno raccontato di aver deciso di non denunciare le molestie sessuali di cui sono vittime per paura di perdere il lavoro”.
    M.